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Recensione

L’esordio di Léonor Serraille (giudicato il migliore di Cannes 2017) non è roba da poco.

È intriso di una comicità tragica che prima ti si attacca addosso, poi s’insinua sottopelle e risveglia malumori tramutati in malinconia o aggressività.

Non è  così evidente, e ciò potrebbe renderlo inviso a chi in un film cerca logica e scorrevolezza (che pur ci sono) di marca più “rassicurante”.

Il girovagare di Paula (l’istintiva, arruffata, a suo modo magnetica Lætitia Dosch), archetipo d’indecisione cronica (riscontrabile fin nelle iridi di colore diverso), attraverso Parigi, metropoli ritrovata – dopo un lungo soggiorno in Messico – ma mai amata nella quale la riconciliazione con il fotografo Joachim (Grégoire Monsaingeon) è impossibile (poiché costui la lascia fuori di casa), forse non diverte in senso stretto, però ci consegna un personaggio caparbiamente inconciliabile con il resto del mondo, incapace di regolarsi in qualsiasi situazione.

Colloqui di lavoro, baby-sitting, rapporto con l’esasperata madre, flirt: non ci sono limiti all’inadeguatezza.

Non è una delle tante possibili cine-descrizioni della follia (tutt’al più c’è di mezzo un esaurimento), si tratta di una rappresentazione dell’individuo che non sa imboccare una strada in società e procede imperterrito a cavallo del guard-rail.

Mica facile da raccontare così efficacemente! Al titolo italiano, privo di virgole o due punti, è preferibile l’originale “giovane donna”.

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Max Marmotta