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Trama

Berlino, dopo la Seconda Guerra Mondiale. Il maggiore statunitense Steve Arnold viene incaricato dal Comitato Americano per la Denazificazione di incastrare Wilhelm Furtwängler, prestigioso direttore d’orchestra accusato di avere lavorato per il regime.

Interrogati uno ad uno, i musicisti che hanno suonato per lui lo scagionano, affermando anzi che l’uomo è riuscito a salvare molti ebrei da morte sicura.

Ma Arnold non si arrende: quando giunge a deporre Furtwängler, orgoglioso e convinto della propria innocenza, confuta ogni sua esecuzione e lo umilia, certo di farlo infine crollare.

Recensione

Quando non gira nella sua Ungheria (Dolce Emma, cara Böbe) Szabó lavora con cast internazionali (Tentazione di Venere, l’ancora inedito Sunshine) senza perdere il rigore che lo contraddistingue.

Qui ci troviamo di fronte ad una storia vera, che funge da pretesto per disquisire con toni a volte necessariamente prepotenti del compromesso, che conduce ad un’insanabile frattura, tra arte e potere, incapaci di fare a meno l’una dell’altro.

Gli aiutanti di Arnold, il tenente ebreo scampato in America David e la stenografa Emmi, figlia di un eroe di guerra, servono opportunamente a mitigare la crudeltà non gratuita di Arnold, più propenso al castigo che alla ricerca della verità (argomento che non interessa neppure al regista).

Forse leggermente rigido, il film non teme di mostrare più volte le terribili immagini dei campi di sterminio; la congelata compostezza della promettente sequenza d’avvio (insieme all’ultima, la migliore) sintetizza bene lo spirito dell’opera, indubbiamente interessante.

Rispetto all’aggressivo ma intoccabile Keitel, la performance di Skarsgård appare notevole, anche se a lungo andare risulta troppo attonita.

Max Marmotta