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Trama

Il capitano Dallas e il suo equipaggio si risvegliano sull’astronave commerciale Nostromo dopo il periodo di ibernazione previsto all’inizio del loro viaggio di lavoro.

I due tecnici Brett e Parker hanno parecchie remore sulla paga che la Compagnia accorda loro, inadatta al loro operato, mentre l’ufficiale medico Ash si scontra spesso con il comandante in seconda Ripley, una giovane donna che ha portato con sé il gatto Jones.

Ricevuto uno strano segnale di richiesta di soccorso, il gruppo approda su un pianeta sconosciuto. In ricognizione scendono lo stesso Dallas, Lambert, unica altra presenza femminile nel team, e Kane. Quest’ultimo, avvicinatosi imprudentemente ad un uovo alieno, è aggredito da una strana creatura che gli si attacca al volto.

È l’inizio di un incubo.

Recensione

Come insegna L’esorcista, sono costantemente i film di rottura degli anni ’70 a suggestionare in maniera maggiore il pubblico.

Alien è un capofila, e il suo regista Ridley Scott, al secondo restyling della carriera (dopo Blade Runner), ha accettato di rimasterizzarlo, cesellare alcune scene (decurtate di una decina di secondi ciascuna) ed aggiungerne, sostanzialmente, un’altra, scelta tra chilometri di pellicola scartata al montaggio del 1979 (ritrovata, si dice, in una cantina londinese), raffigurante una macabra collezione di bozzoli (il materiale inedito, comunque, ammonterebbe a 4’ 52’’).

La messinscena sa sfruttare a suo vantaggio i tempi morti, particolarmente dilatati nella parte iniziale, palesando l’inutilità del ritmo-a-tutti-i-costi che caratterizza tanto cinema d’azione o horror contemporaneo, paradossalmente meno sorprendente; un accorgimento che, progressivamente, si è perduto finanche nei tre sequel di Cameron, Fincher e Jeunet.

Il lavoro dei creatori del mostro H.R. Giger (disegnatore) e Carlo Rambaldi (responsabile degli effetti visivi) risulta così valorizzato, poiché gli spettatori sobbalzano ancora e rimangono con il fiato sospeso in più di un’occasione, persino se sanno cosa sta per succedere, sia che conoscano il lungometraggio a menadito, sia che abbiano soltanto subito il martellamento smaliziante di opere posteriori consimili.

L’apporto professionale della bella Weaver, Skerritt e il resto del cast, tutti più giovani ai nostri nostalgici occhi, non era secondario all’epoca e appare ulteriormente prezioso oggi.

Max Marmotta