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Recensione

Ed eccoci all’annunciata (persino negli stratosferici incassi) fine della cosiddetta “fase 3” dell’MCU (Marvel Cinematic Universe). Il quarto film incentrato sugli Avengers, ventiduesimo del gruppo testé menzionato – in un arco, pianificato sempre più millimetricamente, di 11 anni, a (ri)partire da Iron Man – sui supereroi creati da Stan Lee (al suo ultimo, godibile cameo), non poteva che mostrarsi magniloquente e privo di pause (per le tre ore di durata), con richiami (e “ritocchi”) ai capitoli precedenti, più qualche dissacrazione – soprattutto per le figure del dimesso Thor (Chris Hemsworth) e di un Hulk “imborghesito” (un Mark Ruffalo, perlopiù “in verde”) – e importanti adeguamenti (uno dei registi, Joe Russo, interpreta brevemente un omosessuale). Dunque, punto e a capo. 

Dopo la folle iniziativa di Thanos (ancora Josh Brolin in versione CGI), che, impossessatosi delle sei Gemme dell’Infinito, cancellò metà delle creature dell’Universo, gli sconfortati superstiti piangono i compagni polverizzati e trascinano le loro esistenze per cinque anni. Poi si presenta (il fortunato) Scott Lang/Ant-Man (Paul Rudd), reduce da una delle sue micro-esplorazioni (chi ha presente la conclusione del secondo lungometraggio a lui dedicato sa di che si parla), con una rivelazione illuminante, ben accolta da quasi tutto il team dei sopravvissuti; in particolare, a mostrarsi restio è il cervellone Tony Stark/Iron Man (Robert Downey Jr., conscio dell’iconicità acquisita e abile nell’amministrarla) che, dopo essersi ricostruito una vita, punta sul sicuro. Finché non intravede a sua volta una speranza… 

Si solletica il sottogenere fantascientifico dei viaggi nel tempo, facendo apertamente e arditamente tabula rasa (in maniera coerente?) di qualsiasi plot cinematografico, illustre (Ritorno al futuro, Terminator…) o meno (Bill & Ted’s Excellent Adventure, Un tuffo nel passato…). A Clint Barton/Occhio di Falco (Jeremy Renner), assente in Infinity War, vanno l’onore dell’incipit e, infine, la dignità del comprimario, al fianco – oltre che dei sopracitati – di un non riconciliato Steve Rogers/Captain America (Chris Evans) e di una propositiva Natasha Romanoff/Vedova Nera (Scarlett Johansson); segue una nutrita, preventivabile  lista di attori non protagonisti (da Cheadle a Lilly, da Boseman all’“interdimensionale” Cumberbatch, da Larson a Holland), fino a divi come Douglas, Redford (ci ha ingannato…), ecc., relegati al rango di comparse de luxe, ciascuno glorificato dai “definitivi” titoli di coda. Si apprezzano lo spazio e il riguardo per il potente côté femminile (sarebbe pure il momento!) e la capacità di coinvolgimento. 

Max Marmotta