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Trama

Una squadra di ranger, formata da Dunbar, Kendall (figlio di un generale), Pike (il più fragile), Mueller, Castro e Núñez (l’unica donna), viene inviato in una foresta panamense per un’esercitazione nel bel mezzo di un uragano.

Al comando della pattuglia il rude e odiato sergente istruttore Nathan West. Del gruppo si perdono le tracce. Quando, dopo alcuni giorni di ricerche, sono ritrovati gli unici superstiti, Dunbar e il ferito Kendall, nel bel mezzo di un conflitto a fuoco con Mueller (che ha la peggio), il colonnello Bill Styles di Fort Clayton vuole vederci chiaro.

Dato che gli interrogatori della volitiva Julia Osborne, capitano della polizia militare, ai due soldati non sortiscono alcun risultato, l’alto graduato le affianca Tom Hardy, ex-militare con problemi di alcolismo diventato ispettore della narcotici, noto per la sua abilità nelle torchiature.

Dai nuovi confronti emergono pian piano dei retroscena impensabili.

Recensione

Per quanto l’ambientazione potrebbe ricordare La figlia del generale, con lo stesso John Travolta, è Il coraggio della verità il maggiore referente di questo lavoro di John McTiernan.

Infatti, la pluralità di punti di vista, le ricostruzioni spesso fallaci dell’accaduto (dovute anche all’immaginazione di Osborne, una Connie Nielsen abbastanza in parte), oltre ad affondare le radici nella filmografia di Kurosawa, rimandano al film di Edward Zwick del 1996, nel quale Denzel Washington cercava di far luce sulla morte dell’eroica soldatessa Meg Ryan.

È dunque il déjà-vu il principale nemico della pellicola, la quale ad ogni modo fa affidamento su un eccesso di colpi di scena (se non vedi un cadavere, non fidarti…) che nuoce alla credibilità finale, senza contare che non tutto torna.

Comunque non è il caso di prendersela con l’alacre sceneggiatore James Vanderbilt, né con il valido direttore della fotografia Steve Mason, e neppure, volendo essere buoni, con la discreta gestione risorse del regista; semmai, c’è da tenere a freno il gigionismo del bovino Travolta (Hardy), da condannare il ruolo-cliché a cui è costretto da anni Giovanni Ribisi (Kendall) o, più ampiamente, l’approssimativa, per non dire confusa (e non era la trama a richiederlo), descrizione dei personaggi.

Max Marmotta