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Recensione

Quentin Tarantino è “esploso” all’inizio degli anni ’90 e per un po’, vien da pensare, ha campato di rendita.

Poi si è arenato: tantissimi progetti abortiti, sulla carta a volte assai interessanti, il colpo doppio, sufficientemente riuscito, di Kill Bill, e quello dimezzato e dimenticabile di A prova di morte, parte del manipolato progetto Grindhouse.

In questo suo ultimo lavoro, celebrato sebbene non da tutti, il primo aspetto a risaltare è un’allegra presa di distanze da ogni possibile verità storica, in nome dell’intrattenimento ma anche per scatenare nel pubblico una specie di recondito e violento (in senso lato) sentimento di vendetta all’indirizzo degli orrori perpetrati dai nazisti nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

Il plot, solo lontanamente debitore di Quel maledetto treno blindato di Enzo G. Castellari, gravita attorno a un gruppo di soldati yankee fuori dalle regole che giura odio agli aguzzini tedeschi in divisa nella Francia occupata e al meticoloso e indipendente piano di una ragazza rimasta orfana a causa di un feroce raid guidato dal lucidamente spietato colonnello Landa (il sorprendente Christoph Waltz, del quale, c’è da scommettere, sentiremo ancora parlare); non è eccezionale, anzi oseremmo dire che difetta in alcuni passaggi.

Tuttavia, le ponderate sequenze che precedono le sparatorie, le accelerazioni improvvise, gli inserti, i giochi (citazioni e omaggi, soprattutto alla serie B) e l’ottima prestazione dell’intero cast (Brad Pitt è il più noto, però non bisogna dimenticare i validi attori francesi, tedeschi e statunitensi di contorno) fanno sì che il film abbia la non comune capacità di restare negli occhi e di imprimersi nella mente meglio di tanti altri, magari più levigati.

Il bislacco autore qui dimostra di sapere costantemente quali risultati emozionali cerca. Ed è fondamentale.

Max Marmotta