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Trama

Inchiesta seria ma con il gusto del paradosso operata dal documentarista Michael Moore. Partendo dal massacro avvenuto il 20 aprile 1999 al liceo Columbine a Denver, Colorado, il regista si propone di arrivare alle origini del problema che causò una tale carneficina: la facilità con cui negli Stati Uniti è possibile acquistare o procurarsi un’arma.

E dato che nel vicino Canada, dove è altrettanto facile disporre di un fucile o una pistola, e in altre nazioni il tasso annuo di omicidi non è altrettanto incidente, si scopre che sono i mezzi di informazione ad impaurire il cittadino e ad indurlo a prepararsi alla difesa.

Recensione

Si rimane esterrefatti dall’entità dei dati raccolti da Moore (Roger & Me, ma anche Magic Numbers come attore) in questo suo straordinario lavoro, che non poteva congedarsi da Cannes senza un premio (quello per il 55° anniversario): cifre alla mano, si dimostra come gli Stati Uniti nei decenni abbiano finanziato guerre e colpito innocenti, mutato in nemici i disubbidienti e imposto misure restrittive solo dopo che immani tragedie avevano messo in ginocchio individui e comunità.

Si intuisce che il film –che non approfondisce la strage del titolo né quella di Oklahoma City o lo sconvolgente delitto compiuto da un bambino di sei anni, ma prende questi tragici eventi, non privi di immagini scioccanti, come spunto– potrebbe durare altre dieci ore e più, poiché ogni vicenda affrontata comporta nuovi argomenti che conducono ad ulteriori aberrazioni legislative.

E il cartone animato “storico” in stile South Park (intervistato uno degli autori, Matt Stone) dimostra più efficacemente di una pila di libri come molte storture derivino da una paura ereditaria (come quella nei confronti dei neri) che rende selvaggi, alimentata –perché “tira”– da tv ed altri organi di informazione in un circolo vizioso che fa comodo alle grandi lobbies.

È impressionante riscontrare come i produttori di armi, coperti dalla National Rifle Association (uno dei suoi membri più illustri, Charlton Heston, ne esce con le ossa rotte), si difendano o dove annidino le loro pubblicità subliminali.

Ma una bella rivincita l’autore se la prende, con l’aiuto di due superstiti della Columbine (in una sequenza in cui un paio di frasi ad essi rivolte danno il senso della superficialità degli sguardi estranei); segno (importante) che pure le proteste pacifiche possono portare a risultati concreti.

Max Marmotta