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Trama

Roma, 1978. Un commando delle BR sequestra il democristiano Aldo Moro e fredda i cinque uomini al suo seguito. Mentre il malconcio prigioniero, relegato in un anonimo appartamento, prende lentamente coscienza della sua situazione scrivendo alla famiglia dolorose lettere e le più alte cariche politiche mostrano un sostanziale disinteresse per la sua sorte, la più fragile dei quattro assassini-carcerieri, Chiara, è smossa dai dubbi: la causa per cui è disposta a combattere così duramente è davvero giusta, o forse coincide, per brutalità, alle uccisioni perpetrate dai nazi-fascisti in tempi di guerra (la sua è una famiglia di partigiani)? La crisi, apparentemente celata, è ulteriormente amplificata dai dialoghi con il giovane collega d’ufficio Enzo, autore di una sceneggiatura dal titolo Buongiorno, notte (da un verso di Emily Dickinson), nella quale ha inserito un personaggio ispirato proprio a Chiara.

Recensione

Applauditissimo a Venezia, dove ha rischiato di vincere, accolto con pareri discordanti da parte della famiglia dello statista ucciso, l’intenso film di Bellocchio (con il figlio attore), che affronta la vicenda dopo il cronachistico (e per certi aspetti più vicino) Il caso Moro di Ferrara, il superficiale L’anno del terrore di Frankenheimer e il didascalico Piazza delle Cinque Lune di Martinelli, non si preoccupa di ricostruire fedelmente una pagina storica che ha segnato l’Italia e aggira piuttosto abilmente, con un acuto senso dell’osservazione, un discorso politico che poteva portare lontano; al contrario, scuote gli animi e suscita inquietudine integrando alcuni assunti reali in un contesto fantasioso, proteso a penetrare le (possibili) psicologie dei terroristi (non assolti –hanno già tolto cinque vite– ma umanizzati), e abbordando persino momenti grotteschi o onirici (la scopertura dei volti, per esempio) pregni di significato.

Fra molti caratteri interessanti (citiamo la Chiara di Maya Sansa, valida come il resto del cast e lanciata dallo stesso rinsaldato Bellocchio ne La balia), il Moro dello sbalorditivo Herlitzka (già con il regista ne Il sogno della farfalla) è il personaggio più lucido e analitico, in grado di preconizzare le conseguenze della sua morte e di instillare inutili incertezze nei brigatisti, ormai ciecamente votati al loro obiettivo, destabilizzante solo in teoria.

Un filo di speranza percorre sino alla conclusione la pellicola del cineasta, che accentua le emozioni con stralci operistici, pure grazie alla semi-misteriosa figura di Enzo, una specie di coscienza in grado (forse) di cambiare gli avvenimenti con il suo script amatoriale ed idealista; un giovanotto che probabilmente paga le conseguenze di questo suo “potere” proprio allo Stato ipocrita ed allarmato.

Max Marmotta