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Trama

Parigi, 1977. Giunto nella metropoli francese per allestire il concerto dei Bad Dreams, un gruppo punk che va per la maggiore, l’impresario Larry Kelly si reca dalla sua vecchia amica Maria Callas, rintanata nella propria lussuosa casa dalla morte del fedifrago compagno Onassis.

Attaccato ad un passato che non gli appartiene più (la sua voce, senza esercizio, si è affievolita), il grande soprano rifiuta caparbiamente l’idea che l’uomo gli offre: un ritorno sulle scene grazie alle nuove possibilità offerte dal playback.

Utilizzando vecchie incisioni, la Callas infine si convince a realizzare un film su un personaggio di sua scelta da lei poco frequentato, la Carmen di Bizet.

Mentre la capricciosa diva resta affascinata dal suo co-protagonista di primo pelo, Kelly comincia a trascurare la sua recente unione con un altrettanto giovane pittore.

Recensione

A che scopo rievocare un’infelice e bistrattata figura artistica, che esige da anni una riscoperta, e collocarla in una vicenda totalmente inventata? D’accordo, Zeffirelli (che ebbe il privilegio di dirigere a teatro la cantante e perciò la conosceva bene) ha voluto in questo modo rielaborare ed esemplificare le doti e le spigolosità della tormentata –soprattutto in amore– Maria Kalogeropoulos (questo il suo vero nome), ma la trama risulta fasulla più del dovuto.

Il regista toscano, che con le sue opere recenti (Jane Eyre e Un tè con Mussolini) cominciava a riscattarsi, dirige gli imbarazzati, ancorché ammirevoli, Ardant e Irons (doppiato da Giannini) al di sotto delle loro potenzialità, e ha anche convocato un’altra sua vecchia conoscenza, l’altrimenti eccelsa Joan Plowright, per cucirle addosso un improbabile ruolo di giornalista.

Scusanti? I brani originali eseguiti dalla Callas, sempre vibranti, e, tutt’al più, il possibile escamotage del sogno.

Due curiosità: l’unico film effettivamente interpretato dalla Callas fu Medea (1969) di Pasolini; lo Scarpia (da Tosca) delle prove è il tenore Justino Díaz, già con il cineasta in Otello.

Max Marmotta