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Recensione

Uno dei libri meno noti del King recente trasposto dallo stesso scrittore (con Alan Alleca) per l’incolore regia di Williams, uno passato dall’intimismo familiare di The Door in the Floor agli spaventi a buon mercato di Paranormal Activity 2.

In effetti il suo nuovo lavoro contiene malamente entrambe le anime con una spruzzata aggiuntiva di road movie, dato che narra il difficile viaggio di un fumettista in pena dall’aeroporto di Boston verso il Maine, dove sono l’ex-moglie e il figlio, in seguito a un’impressionante epidemia (nulla da dire sull’efficace atmosfera – mutuata dalla migliore serie B dei minuti iniziali) scatenata via cellulare, che ha reso ogni malcapitato all’apparecchio folle e assetato di sangue.

Inoltre, i “telepazzi”, come vengono presto soprannominati, si muovono incoscienti con la stessa compattezza di uno stormo d’uccelli, guidati da una forza telepatica con le fattezze di un personaggio creato dal protagonista.

Un plot (degno del solito film di zombi) che è semplice metafora di un invisibile eppure possibile indottrinamento tecnologico, già visto ma con delle buone idee.

Non è l’ardito doppio finale (in stile “paradiso/inferno”) a disturbare, bensì l’approssimazione narrativa del segmento della scuola-“dormitorio” (in cui emerge un’improbabile mole di dettagli sul contagio), lo spreco di tracce e l’interpretazione stordita di Cusack, impigritosi da tempo.

Preferiamo i vecchi leoni Jackson e Keach.

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Max Marmotta