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Trama

Campo profughi di Shamshatoo, Peshawar (Pakistan), 2002. La famiglia del rifugiato afgano Enayat ritiene che il ragazzo abbia più speranze di vivere dignitosamente a Londra; il viaggio è piuttosto costoso.

Suo cugino Jamal, sedici anni appena, organizza l’incontro con un esperto di emigrazioni clandestine e si offre di accompagnarlo, anche perché conosce un po’ d’inglese.

Inizia così un percorso irto di difficoltà e imprevisti, con nuovi vestiti, nascondigli, spese impreviste, controlli e marce indietro, attraverso l’Iran, il Kurdistan, la Turchia, l’Italia e la Francia, insieme ad occasionali compagni di sventura.

Recensione

Difficile stabilire il confine tra finzione e realtà in questo ottimo quasi-documentario dell’inglese Michael Winterbottom (ma perché in Italia non ci fanno vedere tutti i suoi film?), idealmente vicino al suo precedente Benvenuti a Sarajevo e meritevole vincitore dell’Orso d’Oro al festival di Berlino 2002.

Un drammatico road movie che ci spiega a quanti sacrifici e rischi vanno incontro i profughi (quattordici milioni in tutto il mondo, uno dei quali vive nella sola Peshawar), cosa li spinge ad affrontare itinerari lunghi e impossibili con qualsiasi mezzo e in condizioni impensabili (fra i motivi, i bombardamenti russi e poi americani), con l’incubo di essere scoperti e rispediti al mittente.

Costretti persino a mascherare il proprio idioma (per non essere scoperti tocca loro parlare farsi, non pashtu), i due protagonisti, non-professionisti che mantengono i propri nomi e mostrano una reale sofferenza (e il tenace e ammirevole Jamal è davvero riuscito ad ottenere un provvisorio permesso di soggiorno a Londra), sono pedinati dalla camera digitale durante il loro infinito cammino: luci naturali, riprese spesso sgranate, come se l’obbiettivo rimanesse nascosto.

Un’esperienza che c’insegna tanto, nella quale si entra poco alla volta, fino ad identificarsi con i fuggiaschi.

Max Marmotta