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Trama

A Tbilisi tre donne dividono un misero appartamento. L’anziana Eka, assai risoluta nonostante l’età, è sempre felice di ricevere notizie dal figlio Otar, emigrato a Parigi, che ogni tanto telefona o allega dei soldi alle rare lettere che invia; Marina, sorella dell’assente, vedova e legata all’amico/amante Tengiz, ha un atteggiamento scettico nei confronti della vita, anche perché è costretta ad umili lavori (per ora fa la straccivendola) nonostante i suoi titoli; Ada, infine, studentessa alle prese con i primi sentimenti, è abbastanza giovane da non provare la stessa disillusione della madre Marina.

Un brutto giorno giunge la notizia della tragica morte di Otar, caduto da un’impalcatura nel cantiere in cui lavorava in nero.

Marina prega la contrariata Ada di non dire nulla a Eka, ed insieme preparano nuove missive firmate dall’estinto per non farla preoccupare.

Un inganno a fin di bene difficile da troncare e che non potrà certo durare in eterno… .

Recensione

Una storia al femminile interpretata da un’ebrea polacca all’esordio su un set (a dispetto della veneranda età), un’attrice di teatro georgiana e una giovane russa di origini mongole che muove i primi passi nel mondo del cinema, tutte dirette da una regista francese oriunda italiana: il mix culturale sprigionato da questo gradevole esordio è un notevole punto di forza.

L’autrice, che si è aggiudicata il premio della Settimana della Critica e la Caméra d’Or all’ultimo festival di Cannes, si è dichiaratamente ispirata allo stile surreale dell’amico e maestro Iosseliani (dunque non è un caso che il motore invisibile della storia si chiami Otar…), aggiungendo ai silenzi e all’ironia che stempera il dramma di una difficile (perché inaccettabile o soltanto tenuta nascosta) elaborazione del lutto un maggiore realismo.

L’attesa beckettiana (per causalità, non certo per nonsense) delle tre protagoniste avviene su uno sfondo di coraggiosa povertà, tra contraddittorie memorie staliniste e la tenacia e la forza di Eka (la straordinaria Esther Gorintin), curva sotto il peso degli anni ma molto più solida di quanto appaia.

Max Marmotta