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Recensione

Che Stephen King si sia deciso a dar seguito al suo popolare Shining ha senso; più avventata è subito apparsa la scelta di trasporlo, dato che l’adattamento di Kubrick – già sgradito allo scrittore – è uno dei film più amati di sempre. Allora stabiliamo che il talentuoso Mike Flanagan, già segnalatosi con il piccolo, visionario Oculus, con il sorprendente prequel (visto il trito prototipo) Ouija – L’origine del male, con l’ulteriore, difficile testo kinghiano Il gioco di Gerald (per Netflix) e con la creazione dell’apprezzata serie Hill House, a emulare il geniale Stanley non ci abbia nemmeno provato, a dispetto dei dettagli puntigliosamente riprodotti (con attori d’accomodo) a mo’ di omaggio. E che, in sostanza, il fatto che qui regia, script e montaggio siano suoi è una fortuna. Rasserenante, no? Anche perché è l’unico modo per accorgersi che dietro alla superficie c’è un lavoro egregio, certo vincolato a un immaginario radicato (conoscere bene la pellicola del 1980 è consigliabile) però non per questo scevro di meriti, moderno (sicché meno spaventoso…), godibile, addirittura elegante. 

Danny Torrance (un McGregor dai tormenti implosi che eredita il ruolo da Danny Lloyd, presente in un cameo sportivo) della sua luccicanza non ne vuol più sapere. Fronteggiati i traumi infantili, si è trasferito in un’anonima cittadina, è infermiere – in compagnia d’un gatto a sua volta preveggente – e ha vinto la battaglia contro l’alcool, pure grazie alla pronta disponibilità di Billy (Cliff Curtis), amico “sensibile” (non ai suoi livelli), e John (Bruce Greenwood). Poi entra in contatto telepatico con una ragazzina, Abra (Kyliegh Stone), geograficamente lontanissima e con doni mentali assai più sviluppati. Dopo la brutale aggressione ai danni d’un adolescente (Jacob Tremblay, già con Ferguson nel tenue Somnia), è lei a segnalargli la nefanda presenza d’un gruppo – il Nodo – di feroci nomadi sensitivi (o, se preferite, pseudo-vampiri) capeggiato dalla spietata Rose “Cilindro” (Rebecca Ferguson), avvezzo da secoli a individuare persone similmente speciali per prosciugarne e in parte conservarne l’energia (o, se conviene, farne nuovi accoliti). È l’inizio di un’alleanza e di un duro confronto – inizialmente a distanza – che ricondurrà al famigerato, abbandonato, infestato, innevato Overlook Hotel. 

Oltre agli avversari maggiormente definiti, uno degli aspetti più interessanti consiste nel ribaltamento dei rapporti di forza molto prima del finale, espediente tanto brusco quanto intrigante. In più, varie citazioni di genere (ci piace ricordare quella velata di Society – The Horror) immerse in uno stile visivamente notevole.

Max Marmotta