
Dolls
- Takeshi Kitano
- Hidetoshi Nishijima, Kyoko Fukada, Miho Kanno, Tatsuya Mihashi
- Drammatico, Sentimentale
- Giappone
- 5 September 2002
Trama
Il giorno delle sue nozze con una donna che non vuole ma che è costretto a prendere in sposa a causa di pressioni familiari, Matsumoto apprende che Sawako, vero amore della sua vita, ha tentato il suicidio; è salva, ma è rimasta in stato catatonico.
Il giovane pianta tutto, la raggiunge e la porta con sé. Trascorrono parecchi giorni, e i due abbandonano l’automobile in cui si erano rifugiati per cominciare a vagare a piedi nelle zone circostanti, legati da una corda rossa e presi per matti dai passanti.
Durante il loro errare, passano dinanzi all’abitazione di un ricco boss, che non ha mai dimenticato la fidanzata lasciata ad aspettare tanti anni prima per seguire la propria indole malavitosa, e accanto ad una sfortunata star della canzone, Haruna, che vegeta su una spiaggia, ingiuriata da un incidente stradale eppure ancora venerata da due fan che farebbero carte false per incontrarla.
Recensione
Niente a che vedere con l’omonimo horror di Stuart Gordon (1987): questa è una bellissima storia che ne contiene altre due, pervasa di pessimismo eppure intensa, toccante, lirica, incorniciata com’è dagli splendidi colori scelti dal direttore della fotografia Yanagishima nell’arco delle quattro stagioni.
Kitano, artista eclettico (è fra l’altro pittore, e si capisce, giornalista, anchorman…) purtroppo ignorato all’ultimo festival di Venezia, sussurra dettagli, disorienta ogni tanto con il montaggio, sempre opera sua; e se da un lato il regista si autocita (Il silenzio sul mare, Hana-bi) e non rinuncia ad inserire nella sceneggiatura almeno uno yakuza (non a caso irriconoscibile agli occhi della donna che lo ha atteso tanto), dall’altro spiazza con i numerosi flashback che ricostruiscono le esistenze dei personaggi (anche minori), con il rovesciamento delle situazioni (vedi il destino dei due irriducibili ammiratori e l’inerme follia che, come una penitenza, contagia Matsumoto) o con la dimostrazione che certe riconciliazioni, sebbene avviate, sono impossibili.
La sequenza iniziale è dedicata al Bunraku, teatro tradizionale nipponico abitato da burattini (metaforici e sovrapponibili ai caratteri –i “vagabondi legati” ne indossano ad un certo punto i costumi– in quanto dipendenti dal volere altrui), ma c’è anche una specie di coro costituito da un paio di invitati al matrimonio.
Un flusso di immagini meravigliose e comunicative: immergetevi.