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Recensione

È dal 2002 (da Femme Fatale) che Brian De Palma, maestro della New Hollywood, non si affida più agli studios, preferendo fragili finanziamenti europei. La sua poetica, riconoscibile nello stile virtuosisitico e nei temi ossessivi (soprattutto nell’ambito del thriller), non ne è uscita immacolata, ma lui resta un faro per chi lo ammira da decenni. La distribuzione nostrana, poi, lo bistratta dall’ottimo Redacted, in barba al Leone d’Argento ricevuto a Venezia nel 2007, non avendo pubblicato nemmeno per l’home video il successivo Passion (2012), anch’esso passato – con accoglienze discordanti – dal festival lagunare. 

Qui gli è andata particolarmente male. Il suo nuovo lavoro ambientato in varie città del Vecchio Continente ha avuto così tante difficoltà durante le riprese (con produttori danesi insolventi) e dopo (con pesanti tagli – circa mezz’ora, si mormora – imposti al montaggio, il che sorprende in un film che, tra un ralenti e l’altro, nei suoi 89 minuti appare già lungo) da aver costretto il regista a disconoscere l’opera. Una caccia all’uomo (Eriq Ebouaney) colpevole di aver ridotto in fin di vita un poliziotto di Copenaghen (Søren Malling) diventa una sorta di road movie con qualche tempo morto, d’accordo, tuttavia contenente “zampate” inimitabili, tracce di un talento unico che merita rispetto, persino in simili travagliate circostanze. Mettendo in scena lo script di Petter Skavlan, in cui il fuggiasco, deciso a colpire la cellula terroristica che gli ha barbaramente ucciso il padre, è reclutato a forza dalla CIA (nell’elegante persona di Guy Pearce, latore di una decina di gustosi aforismi) e tallonato da due affezionati colleghi dell’agente sgozzato (Nikolaj Coster-Waldau e Carice van Houten, entrambi ne Il trono di spade, tiene a sottolineare il battage pubblicitario, che “vanta” una tagline affibbiata a casaccio: “Lui paga sempre i suoi debiti”), De Palma, per l’ottava volta accompagnato da un calzante soundtrack di Pino Donaggio, azzecca alcune idee (la sua classica dualità si esprime attraverso lenti bifocali o split screen aggiornati all’epoca dei videogame violenti e, purtroppo, degli attentati feroci in diretta) e piazza la sequenza da manuale della pistola dimenticata con un lento zoom in avanti. L’inseguimento sul tetto e, con i suoi limiti, la resa dei conti paiono ulteriori estratti del suo cinema migliore. Si riscontrano pure lo sguardo costante all’ambivalente società tecnologica e il topos dei pomodori, nonché una relazione sentimentale poco credibile (finanche nei fotomontaggi!). E un finale allarmante, poiché la vicenda si svolge nel 2020. Chi lo ama lo segua, ancora.

Max Marmotta