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Recensione

Eccezionale successo, l’esportabile serie tv britannica Downton Abbey (2010-15).

Senza modificarne l’inclita sostanza, Michael Engler, regista di alcune puntate dell’ultima fase, dirige la versione cinematografica, formalmente impeccabile (grazie, in primis, all’elegante fotografia di Ben Smithard, alle lussureggianti scenografie – soprattutto interne, visto che quasi non ci si sposta dall’immaginaria magione nello Yorkshire del titolo – di Donal Woods, ai sontuosi costumi di Anna Robbins), il che porta a rimarcare la legittima scelta di non provare nemmeno a modulare ritmo, tipologia degli eventi, impiego dello humour  per il comunque privilegiato – non capita così spesso – passaggio al grande schermo, lasciando immutati sfondo (anni ’20) e nutrito e apprezzato cast (con la gradita aggiunta – sola, irrinunciabile differenza – di un pugno di personaggi, come la dama di compagnia di Tuppence Middleton o i reali).

La trama si riallaccia argutamente agli episodi finali, con il conte Robert Crawley (Bonneville), sua moglie Cora (McGovern), il compito parentado e i domestici in subbuglio per l’imminente visita di re Giorgio V.

Per preparare una perfetta accoglienza è richiamato pure il maggiordomo in pensione Carson (Jim Carter), tuttavia saranno gli arroganti valletti della corona, mandati in avanscoperta, a creare conflitti (non gli unici).

La troppa voglia di chiudere in bellezza intacca l’invidiabile compostezza del film.

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Max Marmotta