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Recensione

Tra uno Spider-Man e l’altro Sam Raimi ha finalmente trovato il tempo di divertirsi da par suo. Qui riesce infatti a mescolare acutamente – e con il tocco inconfondibile di un indiscusso piccolo maestro – momenti di terrore, di raccapriccio e di ironia, senza perdere di vista una specie di morale, indispensabile in una fiaba (per acida che sia).

E anche il budget (lontana l’epoca sfrenatamente artigianale ma sempre fantasiosa ed efficace de La casa) è utilizzato con oculatezza, soprattutto per i trucchi.

Scritto dal regista con il fratello maggiore Ivan, il film racconta le traversie di Christine (una convincente Lohman), addetta alla concessione di prestiti bancari che spera in una promozione (potrebbe soffiargliela un novellino leccapiedi).

Un giorno la donna decide, per farsi notare dal capo (Paymer), di mostrarsi inflessibile dinanzi a una richiesta di proroga dell’anziana signora Ganush (Raver), la quale, dopo molte suppliche, le lancia una maledizione.

Dopodiché Christine diventa vittima di nefande allucinazioni, di cui potrà liberarsi, le dice un sensitivo, solo grazie a un rituale esoterico.

Il primo livello di lettura, privo di cali di tensione, va già bene: sobbalzi annunciati eppur non meno spaventevoli, capacità di uscire dal cliché (vedi le scene orrorifiche in pieno giorno), collezione di finali… Tuttavia, nella protagonista non è da sottovalutare la rappresentazione dell’egoismo, dell’impercettibile pregiudizio, del rimorso perdurante (fino all’accettazione conclusiva del proprio errore) e forse non sufficiente alla sua assoluzione.

Di conseguenza, è sbagliato individuare nel personaggio malefico ma funzionale della Ganush una denigrazione di usi e costumi degli zingari, o peggio, della terza età.

Insomma, un’opera completa che non pretende di esserlo. Se Dario Argento sapesse ancora lavorare così… .

Max Marmotta