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Trama

Trasferitosi nella zona residenziale di Tolosa da poco tempo insieme alla giovane moglie Bénédicte, Alain Getty è un ingegnere di belle speranze che ha appena messo a punto un rivoluzionario modello di webcam volante, in grado, per esempio, di controllare a distanza un appartamento quando il proprietario è assente.

Entusiasta del suo lavoro, il suo capo Richard Pollock si auto-invita a cena con la moglie Alice. Quest’ultima, dapprima cupa e silenziosa, ben presto sbotta con accumulato livore nei confronti del consorte, ponendo un imbarazzante conclusione alla serata.

I tranquilli Getty, nel frattempo alle prese con un insolito problema idraulico (la tubatura della cucina si rivela otturata da un agonizzante lemming, roditore di origine scandinava), cercano di non dare troppa importanza all’episodio, ma Alice si ripresenta sia a Alain in ufficio, dove tenta non proprio invano di sedurlo, sia a Bénédicte sull’uscio di casa, prima informandola dell’abbozzo di adulterio, quindi chiedendole di potersi riposare al piano di sopra.

Calata la sera, dopo l’arrivo di Alain, l’ospite si suicida.

Recensione

Anche se, lo suggerisce pure il titolo italiano, il personaggio di Bénédicte e quello di Alice praticamente si sovrappongono dopo il decesso di quest’ultima (e il dettaglio che le attrici che le interpretano portino lo stesso nome, per quanto da pronunciarsi diversamente, è assolutamente fantastico), non si tratta di una storia di fantasmi sublimata da visioni ectoplasmatiche, come dettano le mode più recenti (sia detto senza giudizi di sorta).

All’acuto Dominik Moll, già misuratosi con la personificazione di serpeggianti desideri repressi nel validissimo Harry – Un amico vero (complice uno dei protagonisti, Laurent Lucas, ormai in perfetta sintonia con il regista), interessano maggiormente gli aspetti invisibili dell’inquietudine (e ciò lo rende in qualche modo affine al collega austriaco Haneke, più estremo), gli spettri dell’anima che accompagnano per l’intera esistenza l’essere umano comune – meglio se borghese – non avendo mai l’occasione di affiorare.

Oppure, in qualche caso, sì. Due sono gli spunti particolarmente intriganti da analizzare (sebbene non sarebbero i soli). Cominciamo dal lemming. Un lontano cugino del criceto, potenzialmente simpatico, capace di nuotare fino allo sfinimento per inspiegabile istinto, qui veicolo infettivo (non proprio letteralmente) del delitto, della nemesi, vivace e mordace finché la missione non è compiuta (poi, morto), un elemento di disturbo presente e (proprio letteralmente) ristagnante già prima dell’ingresso in scena di Alice.

L’incurante principale Richard, di lei marito, uomo che per disperata e incontrovertibile conformazione mentale non accetta contraddittori né si accorgerebbe degli errori commessi e perpetrati, mai potrà capire quanto male le ha fatto durante la loro unione; guarda diritto alla realizzazione personale e della sua azienda, servendosi di giovani talenti e, ne siamo sicuri, calpestando chiunque gli si pari innanzi, il che è una “dote” immancabile in tempi grami quali sono i nostri per un capitano d’industria.

Perciò, che la sua rovina provenga dall’interno, per l’appunto dal suo pupillo opportunamente “tarantolato” (o meglio, “lemmingato”), è avvenimento che figura l’ideale chiusura di un cerchio (o due, concentrici).

Altra solleticante scintilla è costituita dalla webcam ficcanaso, nata, in versione ufficiale, per la tutela del possessore, in verità, in nuce, strumento magnifico e ulteriore (già se ne conta una miriade) per la violazione della privacy, e l’autore non evita di dimostrarlo.

Arriva sempre il momento in cui il luminoso cammino del progresso imbocca un tunnel opportunistico che muta, a volte addirittura inverte il suo itinerario.

In tale ottica, per le sue conclusioni metaforicamente raddrizza-torti (che comprendono perfino la candida rivelazione di ciò che, alla stregua del roditore incastrato nel tubo, appariva illogico), Due volte lei potrebbe essere definita, al di là delle apparenze e della ricercata cupezza che trafigge l’intera narrazione, un’opera ottimista, un percorso che non punta certo a giustificare l’omicidio bensì a castigare le brutture del mondo (confluite a forza nel povero Richard, apparentemente così perbene…) attraverso una catarsi esplosivamente liberatoria.

Sicché, sarebbe forse azzardato parlare di rappresentazione credibile della realtà, ma ci si può semplicemente riferire a un bel risultato artistico, sintesi di equilibrio ed eleganza, così connotativi, almeno fino a un po’ di tempo fa, dello stile transalpino.

I silenzi e gli sguardi degli attori, perfettamente governati, sono assai più eloquenti di qualsiasi brano di dialogo (i rimpalli sono peraltro molto efficaci).

E non bisogna dimenticare che la confezione forse poco invitante per il pubblico di massa cela, allo stesso modo del precedente del cineasta, un mica trascurabile versante thriller, penetrante e insinuante, che progredisce lentamente e che non sfigurerebbe affatto in un circuito commerciale.

In barba ai tanti che appena sentono parlare di cinema francese preferiscono girare i tacchi.

Max Marmotta