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Trama

1941. I nazisti dilagano per l’Europa mentre gli Stati Uniti temporeggiano. Rafe e Danny, amici che condividono fin da piccoli la passione per il volo, vengono trasferiti a New York con altri piloti per la selezione.

Rafe, prima di partire come volontario nella squadriglia Eagle della R.A.F., che opera in Inghilterra, affida l’amata Evelyn, infermiera, all’amico fraterno destinato a Pearl Harbor, nelle Hawaii.

Proprio Pearl Harbor è l’obiettivo insospettabile dei giapponesi, i quali hanno intenzione di annientare l’intera flotta del Pacifico.

L’attacco avviene nel dicembre del ’41 e porta all’ingresso in guerra degli USA, che reagiscono quattro mesi dopo con una rischiosa missione diretta su Tokyo.

Recensione

Mastodontico, iperpubblicizzato, preconfezionato e storicamente approssimativo. Pearl Harbor recupera la “ricetta Titanic” per attirare nelle sale quanta più gente possibile: una storia d’amore unita a un evento storico catastrofico, sviluppata però senza l’intelligenza di un James Cameron.

La retorica filo-americana (è Jerry Bruckheimer a produrre) prende presto il sopravvento, vanificando anche le intenzioni pacifiste della pellicola.

Pur riscontrando una buona prestazione degli attori (considerato anche il limitato spazio a disposizione) e un’ottima padronanza tecnica di Bay, in particolare nella lunga sequenza del bombardamento (circa 40 minuti in tutto), non si può non osservare che il film, per quello che offre, meritava qualche sforbiciata e un impiego più oculato del budget.

Inutile sottolineare come Pearl Harbor, alla stessa stregua di molte altre opere sulla Seconda Guerra Mondiale posteriori al ‘98, utilizzi come consolidato punto di riferimento Salvate il soldato Ryan.

Sax Marmotta