Video & Photo

1 videos

Trama

Gli anni passano, ma Bruno Fioretti, in “arte” Mandrake, eterno generico a Cinecittà adesso fidanzato con un’altra proprietaria di bar, Lauretta, è ben lungi dal perdere il vizio di scommettere sui cavalli.

Ancora dotato del “sorriso magico”, insieme al neo-socio Micione, disoccupato cronico, e a un giovanotto detto l’Ingegnere, autore di un fallimentare programma informatico per azzeccare le vincite, frequenta costantemente l’ippodromo Tor di Valle e si prodiga in varie piccole truffe per raggranellare i soldi per le puntate.

Con l’aiuto dell’amica attricetta Aurelia progetta pure di sostituire il campione Pokemon con il brocco Come Va Va; alla ghenga si aggiunge ben presto lo sfortunato impiegato napoletano Antonio Faiella, precedentemente gabbato, e, a sorpresa, Armando Pellicci detto Pomata, dato per morto.

Recensione

Strana la critica: all’epoca (1976) non si accorse di Febbre da cavallo (per la verità, neppure il pubblico in particolar modo), oggi lo acclama come uno dei migliori lavori di Steno, complice la rivalutazione –soprattutto su suolo romano– via etere e home video.

Certo Enrico (anche allora fra gli sceneggiatori) e Carlo Vanzina si sono presi un bel rischio a confezionare questo seguito a distanza di così tanti anni; insomma, complice la loro fama di maestri del trash, in molti li aspettavano al varco.

Tanto più onore al merito dunque, come qualcuno dei loro denigratori ha già sottolineato sulla stampa: la pellicola è divertente sia quando omaggia, ricalcando quasi alla lettera, l’ancora ineguagliabile originale (coloro che lo sanno a memoria colgono al volo certi riferimenti), sia quando propone nuove tracce narrative, assolutamente in linea con i tempi nonché con lo spirito di vent’anni fa, e nuove figure (su tutte, il Cozzaro Nero).

E c’è di più: non potevano che realizzarlo loro, figli del prolifico autore della commedia all’italiana.

Inevitabile che emerga qualche vuoto, qualche inspiegabile dimenticanza (in cotanta precisione filologica, che fine ha fatto Felice/Francesco De Rosa?) e qualche tipica “vanzinata” (vani riferimenti all’attualità e nemmeno una parola sul fantino); ma al di là di una partenza in sordina quasi reverenziale, il film cresce in ritmo (specialmente con il ritorno di Pomata) e fa dimenticare gli impacci degli attori (a proposito: bentornati Proietti, Montesano e Laganà), che avrebbero potuto mantenere il look “istituzionale”.

Bravi pure Brilli e Buccirosso; sostituita Marina Confalone; apparizione sui titoli di coda (con inutile canzoncina dove è possibile però ascoltare la voce di Adolfo Celi) del Trio Medusa.

Godiamocelo e speriamo non diventi una serie (alla Vacanze di Natale!).

Max Marmotta