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Recensione

La sindrome di Williams, piuttosto rara, è associata, oltre che a un aspetto pacioso, a un leggero ritardo mentale e a grande socievolezza ed esuberanza.

La protagonista del film di Louise Archambault, Gabrielle Marion-Rivard (dalla quale deriva anche il titolo), ne è davvero affetta, eppure la dimensione di vita del suo personaggio, fatta di piccoli gesti quotidiani, di amicizie e della vita con la sorella (Mélissa Désormeaux-Poulin), ci lascia intendere che un equilibrio, se si è circondati di amore, tranquillità e rispetto (importantissimo), non è impossibile da raggiungere.

Ma Sophie, così si chiama la congiunta, presto partirà alla volta dell’India per raggiungere il suo fidanzato; la madre, troppo impegnata, non si è mai davvero occupata della ragazza, che quindi finirà con il rimanere nell’istituto in cui passa gran parte della sua giornata.

Lì gorgheggia pure in un coro, e il suo sentimento per un’altra delle più belle voci del gruppo, Martin (Alexandre Landry), cresce.

Tuttavia, la faccenda non è vista di buon occhio da genitori e insegnanti. Film delicato, privo di scossoni e perfino orecchiabile, Gabrielle tratteggia con gentilezza un’esistenza – e quelle che la circondano – come tante, con le sue opinioni e le sue fragilità, il suo legittimo anelito a una certa autonomia.

Il cantante Robert Charlebois, ospite e “sponsor” del vero ensemble speciale Les Muses, partecipa con generosità nel ruolo di se stesso; per i curiosi: aveva un ruolo in Un genio, due compari, un pollo (1975) con Terence Hill.

Max Marmotta