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Recensione

Se gli ultimi lavori del sempre professionale Verdone accusavano dei difetti, dovuti al rischioso e instancabile perseguimento di obiettivi qualitativamente elevati, non gli si può negare, nell’arco della sua intera filmografia (e qui non si fa eccezione), la cura dedicata alle figure femminili, cesellate in collaborazione con validi sceneggiatori.

Nella fattispecie, Francesca Marciano e Pasquale Plastino hanno spesso affiancato nella scrittura il comico romano, capace ormai di sfumature melanconiche che stanno via via togliendo spazio alle sue tipiche enfatizzazioni mimiche e gestuali, senza però sostituirsi a esse (e qua e là sarebbe magari il caso).

Il risultato è una pellicola di quasi due ore priva di digressioni, densa di avvenimenti e, perché no, contenuti significativi (inerenti il microcosmo famigliare così come disattenzioni o malcostumi patri), con un finale sospeso tra sconfitta e letizia, in nome del peso del singolo opportunamente sostenuto da un coscienzioso senso del dovere.

Parliamo delle doti del protagonista, padre Carlo, sacerdote missionario ritornato dal villaggio che segue in Africa consapevole della validità dell’operato svolto ma anche spossato dai suoi molti compiti, il che, unitamente a ostacoli “normativi” (soprattutto alcuni veti della Chiesa), lo conduce a un periodo di crisi.

Cosa c’è di meglio, in una simile tribolazione, di riunirsi ai propri cari? Certo, se la sorella psicologa (Bonaiuti) non è in grado di ascoltare, il fratello broker (Giallini) tira coca e il padre (Fiorentini, importante doppiatore) si lascia irretire da una moldava molto più giovane di lui, e spunta pure una ragazza dalle strane abitudini (Chiatti, per l’appunto l’altra metà del film), c’è di che avvilirsi ulteriormente.

Eppure, l’interazione fra i personaggi non sarà inutile. La vera commedia italiana docet.

Max Marmotta