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Recensione

Sono in molti a non reggere – ormai per principio – il cinema di Gabriele Muccino. Enfatico, spesso gridato, caratterizzato da dialoghi non sempre elaborati (e per questo, nei casi migliori, più veri), oscillante tra leggerezza e disperazione, proteso verso i migliori registi che abbiamo avuto (conosciuti, venerati), “sporcato” da moderni vezzi d’autore, ultimamente esaltato dalle melodie di Nicola Piovani… Insomma, ci si concentra sui possibili difetti (lo sono?) e sui “marchi di fabbrica”, ma non si ha voglia di riconoscergli la sincera passione, la capacità di raccontare in maniera all’occorrenza viscerale, il trasporto nel guidare gli attori (di solito scelti fra i migliori), l’ansia di muovere la cinepresa (sovente in efficaci piani-sequenza). Ulteriori segni distintivi che fanno vibrare dall’interno i suoi lavori. O li rendono insopportabili. 

Il cineasta di riferimento è ancora Scola (al pari del precedente A casa tutti bene, anch’esso scritto con Paolo Costella). Anzi, tanto per giocare a carte scoperte, si parte da un’opera precisa e irraggiungibile (perché non invecchia): C’eravamo tanto amati (1974). Ai tre amici ex-partigiani interpretati da Gassman, Manfredi e Satta Flores, destinati a strade diverse e a gravitare intorno a un’unica donna (Sandrelli), corrispondono i compari Giulio/Favino (figlio di un meccanico, riscattatosi grazie all’avvocatura che però gli compromette il fervore idealista giovanile), Paolo/Rossi Stuart (votato all’insegnamento precario) e Riccardo/Santamaria (sopravvissuto a una violenta manifestazione di piazza, a sua volta sballottato tra traballanti impieghi nel mondo dello spettacolo e un matrimonio progressivamente infelice con Anna/Marrone, cantante al promettente esordio); per inciso, come se il Freddo, il Libanese e il Dandi di Romanzo criminale avessero intrapreso vie alternative. Li accompagna più o meno da vicino Gemma/Ramazzotti. L’azione si svolge dal 1982 (con i protagonisti sostituiti dai somiglianti Francesco Centorame, Andrea Pittorino, Matteo De Buono, Alma Noce) a oggi, punteggiata da sentimenti, tradimenti, conseguimenti, fallimenti, smarrimenti, ricongiungimenti. Mentre i personaggi illustrano a turno eventi e stati d’animo guardando in macchina e la storia recente scorre in immagini di repertorio, ci s’imbatte nel dolore e nella malattia, stemperati da ruffiane hits d’epoca (con l’aggiunta del nuovo brano di Baglioni, stesso titolo della pelllicola). Contribuisce alla sostanziale riuscita l’apporto di un ricco parco caratteristi, che, oltre a Nicoletta Romanoff, conta Mariano Rigillo, Francesco Acquaroli e Fabrizio Nardi in un ruolo non comico. 

Max Marmotta