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Recensione

Incredibile a dirsi: un film allungato peggiora! Di solito i sofferti tagli al montaggio servono a ritmare, e i director’s cuts sono operazioni in cui, talvolta e tardivamente, degli autori attenti a riscrivere il proprio lavoro hanno infine l’opportunità (ma sarà poi vero?) di presentare la loro idea originale.

Se Kill Bill, diviso in due per l’eccessiva durata da produttori pavidi e fiduciosi nell’attesa dei fans dell’acclamato Tarantino, disponeva di cotanto materiale da dar luogo a un paio di “volumi” godibili e, fortuitamente, pressoché autonomi nello stile, Grindhouse, orchestrato dallo stesso cineasta e da Robert Rodriguez, nasceva già “bicefalo”, omaggio al cinema di serie B (spesso italiano) proiettato in copie rovinate (perciò la pellicola è “sporcata” con salti e rumori molesti) in scalcinate sale di periferia, dove il pubblico pagava un biglietto per assistere a più spettacoli.

Sicché la concisione, la secchezza di A prova di morte e Planet Terror (nomi dei due capitoli, il secondo lo vedremo tra qualche mese), peraltro annessi a rozzi trailers di titoli immaginari (diretti da Eli Roth, Edgar Wright e Rob Zombie) spariti in questa edizione, costituivano l’arma vincente del baraccone.

Invece, i soliti finanziatori codardi, a causa di pessimi incassi negli USA, hanno optato ancora per distribuzioni separate, con la sostanziale differenza che qui i brani supplementari, almeno per quanto riguarda la fatica di Tarantino (che si dirige in un piccolo ruolo e sarà presente con la McGowan pure nell’altro episodio), ammosciano la narrazione e sciupano la trovata di base.

Le scorribande di un folle killer automobilista che si fa chiamare Stuntman Mike (un efficace Russell) ai danni di due gruppi di malcapitate ragazze, perdono così interesse.

Fermo restando che le uscite divertenti e le (auto)citazioni non mancano.

Max Marmotta