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Recensione

C’è Pirandello, furbescamente citato, ma c’è anche un sentore di Vero come la finzione (con un’eco lontanissima de I soliti sospetti); c’è il classico ritratto della famiglia italiana fratturata e c’è una sorta di vicenda romantica giovanile che vorrebbe smentirlo (sembra non farcela, però è solo questione di ridefinire gli equilibri); c’è l’abusata storiella del cane che “uccide” il criceto e c’è lo stesso Salvatores che gioca con i suoi attori (il riferimento al Marocco, e non solo): Happy Family, il cui titolo “esterofilo” non è neppure casuale, è la dimostrazione che il cinema, da brava arte moderna, altro non è che una continua rielaborazione, un inesausto riciclo di materiali che però, attraverso un’onesta e creativa manipolazione, può generare – ahinoi, sempre più raramente – opere ancora in grado di sorprendere per la loro originalità.

Non si può negare che il rischio di zone d’ombra o parentesi meno felici non sia totalmente debellato, tuttavia è un aspetto che contribuisce a valorizzare la genuinità del processo testé teorizzato.

Quindi, se Quo vadis, Baby?, cinque anni fa, tentava di destrutturare e riassemblare i canoni del thriller, qui il bersaglio, felicemente colpito, è la commedia.

L’aspirante scrittore Ezio (De Luigi) decide di stendere una sceneggiatura, nella quale si calerà egli stesso (sebbene ogni personaggio, insegna l’analisi letteraria, proietti di per sé una “scheggia” dell’autore); il suo proposito funge da cornice all’avvicinamento tra due adolescenti intenzionati a sposarsi e all’incontro tra i loro parenti, benestanti e diversissimi, con problemi a volte gravi a cui pensare.

Senso del grottesco e fantasiose soluzioni registiche si mettono al servizio della narrazione, che imbocca gustosi vicoli ciechi nonché intelligenti strade maestre.

Max Marmotta