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Trama

Antonio Savarese è un quarantenne campano con la fissa della recitazione. La voglia di vivere con fantasia gliel’ha inculcata il nonno, edicolante milanese ormai scomparso da tempo, che insieme alla moglie l’ha accudito quand’era piccolo.

Rispondendo ad un ingannevole annuncio, l’uomo, insieme all’inseparabile amico Eugenio, prende contatti con l’esagerato conterraneo Nicola, si reca proprio nel capoluogo lombardo e sostiene il provino per un reality show che non esiste, “Nudi alla meta”, al quale potrà partecipare solo in quanto gay.

Ignaro della truffa di cui è vittima, Antonio si finge omosessuale e impone a Eugenio di reggergli il gioco; grazie a Nicola si fa assumere come cameriere in un locale importante, gestito dal poco limpido Renato, che sopporta un matrimonio agli sgoccioli per non scontentare il potente suocero Duilio.

In realtà il piccolo criminale sogna un’altra vita con una ballerina russa che anima il suo night, Alina.

Certo dell’innocuità di Antonio, sempre più convinto di trovarsi su un set “naturale”, Renato gli chiede di sorvegliarla.

Recensione

Alla sua quinta prova dietro la macchina da presa, ancora accompagnato dal complice Casagrande (i ciak scartati testimoniano quanto si divertano insieme), Salemme cerca riscatto dagli ultimi due lavori.

Ci riesce in parte: gli scontri verbali semi-improvvisati possono lasciare gelidamente indifferenti o far ridere come cretini (specialmente quando è di scena Lama/Nicola, bravissimo), ma non è questo il fulcro del discorso.

Infatti al regista, tra una tenue critica alla fasulla tv-verità, uno sfottò di sparatoria all’americana e qualche citazione (si va da Benigni & Troisi, che Salemme tenta ingenuamente di eguagliare in alcune espressioni, a Totò & Peppino –c’è una versione aggiornata, al computer, della celebre dettatura della lettera– fino addirittura a Scarface: Venantini/Duilio ricorda Robert Loggia!), interessa principalmente svolgere una storia sul sottilissimo confine tra realtà e finzione (o menzogna: è un autentico show?).

Un terreno minato, dove non tutte le soluzioni sono adeguate (per contro altre, come lo “schermo” su Renato e Alina, funzionano); però l’idea rialza di molto le quotazioni della pellicola, il cui finale senza sangue o logica apparente (vedi il simbolico “gemello” che piomba da Roma) è la spia più evidente di un significato nascosto, probabilmente non sempre leggibile da chi è in cerca di puro svago.

In tale tortuoso contesto, che valorizza anche l’amore e i figli, persino il riso trattenuto di Amendola (nell’esplosione di violenza di Renato) assume un senso preciso.

Bello il ruolo del nonno Gian, vitale “emigrante al contrario”, autore di versi napoletani.

Max Marmotta