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Recensione

A firma della soggettista Karen Rinaldi, da questa quinta fatica registica (ma da noi è noto solo Personal Velocity – Il momento giusto, 2002) della figlia di Arthur Miller (nonché moglie di Daniel Day-Lewis), occasionalmente attrice, è scaturito un libro, richiamato dal sottotitolo del film.

L’ambientazione a New York, la focalizzazione sulla sua classe intellettual-borghese (non necessariamente danarosa), un certo gusto per la sophisticated comedy richiamano (volutamente) il cinema di Allen; qui però siamo dalle parti delle produzioni orgogliosamente indipendenti, di cui Greta Gerwig sta diventando (insieme a Brit Marling e a poche altre) un volto riconoscibile, per non dire una garanzia.

L’attrice californiana, dopo le commedie dirette dall’ex-compagno Noah Baumbach, continua serenamente a proporre il suo – ormai un po’ scontatopersonaggio di giovane donna con la testa fra le nuvole (visto pure in Damsels in Distress), tuttavia stavolta in campo ci sono l’indecisione e il potere femminili applicati miratamente alla prevedibile incostanza dell’uomo.

Quest’ultimo ha le fattezze di uno scrittore insicuro (Hawke) del quale la protagonista, spinta anzitutto dal desiderio di maternità (già coltivato con un progetto di inseminazione artificiale), si innamora, per poi cercare di “restituirlo” alla dispotica consorte danese (Moore) da cui egli ha divorziato senza reale convinzione.

L’insieme è sapido, sebbene non esaltante.

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Max Marmotta