Recensione

Il primo lungometraggio girato da Franco Maresco in solitario è un’indagine fatta – nella miglior tradizione del documentario biografico – di immagini di repertorio tratte da numerose esibizioni pubbliche e trasmissioni tv, spesso nostrane, alle quali l’inarrivabile clarinettista – e non solo – Tony Scott (per l’anagrafe Anthony Joseph Sciacca, famiglia originaria di Salemi, nel trapanese), scomparso nel 2007 a Roma quasi ottantaseienne e vergognosamente dimenticato, prese parte (quella con il poco informato Bonolis, posta in apertura, imprime subito un amarissimo senso alla ricostruzione di una carriera che avrebbe potuto, anzi dovuto essere gloriosa; e che in parte lo fu, negli anni ’50 e ’60 negli USA, quando egli suonava per Billie Holiday o con Charlie Parker).

Ci sono interviste a colleghi coscienti del valore del musicista (uno è Buddy DeFranco), nonché intermezzi che fanno parte della cifra stilistica dell’autore e, a dispetto delle apparenze, non spezzano né tantomeno distolgono, bensì rafforzano un’idea di incultura diffusa e pervicace nel nostro Paese, capace di “ingoiare” un artista magari non troppo affabile o addirittura presuntuoso, ma certo immeritevole di tanta dolosa distrazione.

Max Marmotta