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Recensione

Duncan Thomson (Chris O’Dowd), insegnante in una cittadina marittima inglese, è ossessionato dal rocker degli anni ’90 datosi alla macchia Tucker Crowe (Ethan Hawke, perfetto per la parte oltre che bravo), vita privata così disastrosa da avergli fatto rinnegare il successo e riscoprire la natura, custodendo gelosamente la propria privacy. Nonostante ciò Thomson ha costruito un blog su di lui, nel quale ripropone, spiega e recensisce entusiasticamente le (poche) hits dell’irrintracciabile cantante, condividendo con altre centinaia di “maniaci” le illazioni sulla sua effettiva sorte. La paziente fidanzata del fan, Annie Platt (l’ottima Rose Byrne), si occupa per discendenza d’un piccolo museo e della volubile sorella Ros (Lily Brazier), che cambia frequentemente girlfriend. Stufa dell’“invadenza” di Crowe nel suo quotidiano, scrive un velenoso post a commento della ritrovata versione spuria di un album dell’artista, già fonte di lite tra lei e Duncan; le risponde privatamente il malandato Tucker in persona… 

Non è che un abbozzo dell’articolata trama (ricavata da un romanzo di Nick Hornby, adattato con humour spesso scattante da Tamara Jenkins, Jim Taylor ed Evgenia Peretz, sorella del regista – ed ex-musicista – Jesse, già responsabile del simpatico ed equilibrato Quell’idiota di nostro fratello) di questa sapida rom-com – è ancora possibile farne una oggi, non rinunciando a uno sguardo sulla provincia né alle osservazioni indirette su vantaggi e inconvenienti recati dalle nuove tecnologie – ricca di spunti (anche riguardanti i confronti tra culture separate da un oceano o da un paio di decenni) e di caratteri secondari ben definiti: basterebbe soffermarsi sull’opportunista studentessa/docente Gina (Denise Gough), sul sindaco senza tatto Barton (Phil Davis, attore caro a Mike Leigh) o sui rappresentanti della disordinata prole dell’autoesiliato divo pop, l’inquieta Lizzie (Ayoola Smart) e l’innocente Jackson (Azhy Robertson), che innescano pure una riflessione sulla genitorialità irresponsabile a onta di chi – come Annie – i figli li vorrebbe. D’altronde, una famiglia “a pezzi” era al centro pure del precedente lavoro di Peretz. 

Situazioni veridiche e un’intelligente conclusione (con un incontro forse – fintamente – casuale oppure pianificato), dotata di una coda per ribadire che Duncan (che in un’importante scena rivendica legittimamente quanto l’idealizzato Crowe sia importante nella sua esistenza) è comunque un (cretino) egocentrico, contribuiscono – con il soundtrack mirabilmente creato ad hoc – a rendere il film (al pari del mitizzato personaggio che lo anima) un potenziale piccolo cult del futuro. 

Max Marmotta