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Recensione

New York, anni ’30. Il regista Carl Denham (Black) vorrebbe girare un film sull’inesplorata Skull Island ma i produttori si oppongono.

Organizza allora di nascosto una spedizione e imbarca sulla nave Venture, comandata dal capitano Englehorn (Kretschmann), l’attrice di vaudeville Ann Darrow (Watts) e il drammaturgo Jack Driscoll (Brody).

Giunti a destinazione, non senza qualche imprevisto, la troupe s’imbatte in ulteriori insidie: animali preistorici, insetti fuori misura e una tribù selvaggia, che rapisce Ann per offrirla in sacrifico a King Kong, un mostruoso gorilla di otto metri, il quale fraternizza con la sua preda invece di divorarla.

Ma l’affetto per la donna sarà nefasto per Kong, che, catturato da Denham e dai superstiti dell’equipaggio, è portato nella Grande Mela per essere esibito come fenomeno da baraccone.

E le conseguenze dello scontro tra il gigantesco primate e la civiltà sono note al grande pubblico fin dal ’33, quando Cooper e Schoedsack realizzarono il primo King Kong, coniando una leggenda della celluloide che aggiornava il mito della Bella e la Bestia.

Jackson, cosciente di non potere reggere il confronto, ma anche di avere la tecnologia per riuscire dove De Laurentiis aveva fallito nel ’76, confeziona un remake lacunoso rispetto l’archetipo, ma comunque elegante.

Permane infatti il geniale miscuglio di generi ideato dai due pionieri, riciclato tramite una girandola di citazioni metacinematografiche e non e arricchito da un prologo sulla Grande Depressione, nonché da una riuscita parentesi da film catastrofico.

Ci sono l’avventura, l’horror, il romanticismo e le sequenze mozzafiato (la valanga di brontosauri), ma manca l’erotismo, fulcro del vecchio King Kong.

Il gorillone animato da Andy Serkis è espressivo come non mai, ma dotato di uno slancio puramente fanciullesco che gli toglie complessità: s’invaghisce della bionda quando lei si esibisce per lui in un numero comico e li vediamo pure giocherellare su un lago ghiacciato, nel momento più teneramente preconfezionato della pellicola.

L’evidente amore di Jackson per il cinema, in ogni modo ostentato senza invadenza, lascia meno delusi anche se la sua opera è semplicemente un grande spettacolo contemporaneo e cinefilo per famiglie, dove il mito viene banalizzato da un puritanesimo di disneyani natali.

Sax Marmotta