Kung Fu Panda

Inserire omaggi, riferimenti più o meno velati, strizzate d’occhio a registi e opere di cinema classico o comunque “adulto” è ormai pratica piuttosto frequente, per non dire una consuetudine, fra i film destinati prevalentemente all’infanzia.

Tanto per osservare un caso recentissimo, Piacere Dave si inchina in maniera manifesta a uno dei capolavori di Frank Capra, La vita è meravigliosa, del quale vengono addirittura mostrati alcuni spezzoni; ma fra i preponderanti cartoni animati digitali non è mai un caso.

Ciò avviene non soltanto per evocare quell’“educazione all’immagine” di cui le giovani menti avrebbero parecchio bisogno, soprattutto a scuola, ma anche e soprattutto per una captatio benevolentiæ nei confronti degli accompagnatori che non solo sono più invogliati ad assistere allo spettacolo (nel caso dei prodotti Dreamworks appare l’unico termine adeguato), ma occasionalmente si organizzano perfino per andarli a vedere senza prole.

Nel dettaglio, questo atteso Kung Fu Panda, dove il protagonista Po – orso pigro e mangione che si ritrova, da autentico e improbabile “eletto”, a difendere il proprio villaggio dall’assalto del pericoloso leopardo evaso Tai Lung – è doppiato da Jack Black nella versione originale e da Fabio Volo in quella italiana (altro collaudato metodo per attirare le platee, stavolta “di mezzo”), si rifà alle mitiche pellicole a base di combattimenti orientali con Bruce Lee e alla sconfinata filmografia dell’esperto cineasta di nicchia Chang Cheh.

Anche le figure di contorno – i nobili guerrieri Scimmia, Tigre, Mantide, Gru e Vipera, il maestro Shifu – formano una simpatica e alquanto efficace per divertimento e meccanismi narrativi (non si può dire dell’intero campionario per juniores di casa Spielberg) presa in giro di un dignitoso genere fino all’altroieri considerato di secondo piano.