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Trama

Okwe è un nigeriano immigrato clandestino a Londra. Nonostante la sua laurea in medicina, è così costretto a sopravvivere lavorando in nero come tassista e come portiere di notte presso il Baltic Hotel, cercando di dormire il meno possibile.

La giovane turca Senay, cameriera nel medesimo albergo, in attesa del rinnovo del permesso di soggiorno, gli “subaffitta” un divano e tiene nascosta la loro convivenza con piccoli escamotage.

Durante una delle nottate alla reception, l’uomo compie un macabro ritrovamento in una delle stanze e informa subito il suo superiore, il losco señor Juan.

Recensione

Dopo i deprecabili proclami televisivi di politici ignoranti e i surreali pareri di economisti e giornalisti di partito, il grande e ancora essenziale Stephen Frears ci mostra la metà oscura della globalizzazione.

In verità niente in più di quanto già detto da Loach e Winterbottom, ma senza la loro esclusiva predilezione per il free cinema.

Dotato infatti di una fotografia tutt’altro che sporca, il film si presenta innanzitutto come un documentario drammatizzato sulla dura vita londinese di immigrati da tutto il mondo, clandestini e in regola; in sostanza: la quotidianità della base della piramide produttiva britannica e dell’intera Europa.

Poi l’ingresso in scena, quasi in sordina, di elementi da thriller diventa il pretesto per allargare i termini del discorso a una realtà fatta di prevaricazione, sfruttamento e ricatto a scapito dei più indifesi, i quali possono aspirare alla libertà solo barattando un proprio organo con un passaporto falsificato.

Ma, giunti a questo punto, l’abile regista si avvale del meccanismo di genere per scalzare una lettura retorica, trasformando così due disperati (i solidissimi Chiwetel Ejiofor/Okwe e Audrey Tautou/Senay) in due intrepidi soci capaci di sventare un piano criminale utilizzando con umanità le medesime barbare tecniche del sistema.

Un liberatorio cazzotto in faccia alle bieche logiche che governano il Parlamento Europeo e l’opulenza occidentale.

Sax Marmotta