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Recensione

Forse il nuovo film (il cui titolo originale suona più o meno come La maledizione del crisantemo) di Zhang Yimou, massimo autore cinese contemporaneo votato al calligrafismo stilistico (non inteso come difetto) e all’ordine armonico nella messinscena delle sue drammatiche opere, spesso incentrate su tradizioni discutibili o sulla povertà dei suoi connazionali, potrebbe chiudere un’ideale trilogia composta da Hero (2002) e La foresta dei pugnali volanti (2004).

Ma se in questi lavori abbastanza insoliti per l’autore (che già volle dare un’avvisaglia delle sue intercambiabili capacità con il più “moderno” – per tecniche di ripresa – Keep Cool nel 1997) era massiccia la presenza dei combattimenti wuxiapian (quelli aerei e inverosimili, tipici del cinema orientale, rilanciati da La tigre e il dragone di Ang Lee), qui essi costituiscono solo una componente, peraltro piuttosto scevra di particolari abbellimenti estetici (struscio e strappo delle vesti, lame ondeggianti e stridenti in una ricerca di realismo alquanto insolita).

Infatti, al di là dell’enfasi dello scontro finale, in cui scenografie, costumi e colori (parti effettivamente fondamentali per l’intera pellicola) la fanno da padroni, ci si sofferma maggiormente sul contenuto della veridica storia, con gli intrighi di corte (che rimandano a un altro sontuoso lungometraggio di qualche tempo fa, L’imperatore e l’assassino, firmato da Chen Kaige) in primo piano a simboleggiare la corruttibilità dell’animo umano (il conflitto tra regnanti, l’imbarbarimento dei loro figli causato, credibilmente, dal cattivo esempio).

Un racconto attuale, malgrado si svolga nel X secolo, spietato, “imperiosamente” interpretato dalla splendida ex-moglie del cineasta, Gong Li, dal convincente divo Chow Yun-fat e dalla star musicale Jay Chou, assai popolare in patria.

Max Marmotta