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Recensione

Capita ancora di imbattersi in un film che, pur non inventando nulla, riesca a sorprendere. E la meraviglia aumenta quando a dirigere c’è un esordiente nel lungometraggio, che affronta un genere quasi estinto in Italia, il thriller, con notevole padronanza espressiva, ricercando con acume toni e volti, curando i dettagli senza tradire una solida sceneggiatura.

Quest’ultima, nella fattispecie, è opera di Alessandro Fabbri, Ludovica Rampoldi e Stefano Sardo, mentre dietro la macchina da presa siede il promettente Giuseppe Capotondi.

Sulla trama del suo debutto, salutato con favore fra le pellicole in concorso all’ultimo festival di Venezia, aleggiava giustamente un mistero che va mantenuto, soprattutto per coloro che leggono le recensioni per scegliere cosa andare a vedere e non come strumento di analisi.

È sufficiente spiegare che la storia prende le mosse dall’incontro tra la cameriera d’albergo slovena Sonia e l’ex-poliziotto Guido presso un locale specializzato in speed dates, serate in cui ai tavoli delle signore si avvicendano vari potenziali cavalieri e si ha a disposizione un tempo limitatissimo per fare conoscenza e, eventualmente, decidere di rivedersi tramite chi organizza.

Fra i protagonisti sembra scoccare una scintilla, ma il dramma è dietro l’angolo. Rielaborando alcuni giochini cari a De Palma (e non solo a lui), il regista sottrae abilmente elementi di chiarimento per riproporli progressivamente e coerentemente nell’ultimo segmento, senza sottovalutare i silenziosi turbinii interiori che abitano i personaggi, descritti attraverso le vie meno scontate, addirittura mediante percorsi vicini alla psicanalisi.

Come se ciò non bastasse a formulare piena soddisfazione, c’è un inappuntabile cast di contorno; su tutti, il detective di Michele Di Mauro si candida sicuramente a qualche premio.

Max Marmotta