Video & Photo

1 videos

Recensione

Quando Ficarra & Picone buttano giù un soggetto sanno bene quali temi vogliono affrontare. Con l’aiuto in sede di sceneggiatura del fedele Fabrizio Testini (con loro dai tempi de Il 7 e l’8) e di Nicola Guaglianone (con il quale avevano già felicemente collaborato ne L’ora legale), nel caso specifico rischiano di fare il passo più lungo della gamba: girano prevalentemente in Marocco, dispongono di mezzi produttivi importanti (accurata fotografia “sabbiosa” di Daniele Ciprì, ampie scenografie di Francesco Frigeri), tengono segreti trama e titolo finché possono, escono per la prima volta a Natale. Soprattutto, scelgono un’inquadratura iniziale che, ridefinita verso la fine, è capace di spostare l’asse della commedia verso l’attualità, l’urgenza, l’indignazione. In mezzo, riescono pure a parlare con semplicità di religione, proponendo due personaggi antitetici – il ladro ateo e il prete ingenuo – che devono necessariamente addivenire a un compromesso: una fede che non poggi unicamente sulla preghiera, ma che si traduca in azione, volontà, cooperazione. 

Protagonisti sono appunto Salvo, impunito lestofante specializzato in furti di oggetti sacri, e padre Valentino, fissato con i presepi viventi. Uno ruba un prezioso bambinello dalla chiesa provinciale dell’altro, dando luogo a un inseguimento (nei lavori della coppia non ha da mancare) che finisce rocambolescamente e senza spiegazioni (nel solco di alcuni fra i migliori paradossi temporali cinematografici) in Palestina, per giunta nell’anno della nascita di Cristo. Schivando vari pericoli – però senza evitare l’incarcerazione da parte dei Romani – e appoggiando maldestramente un nugolo di ribelli zeloti, i due, ovviamente evolvendosi, uniscono le forze e s’industriano per preservare la Sacra Famiglia, ricercati dal feroce Erode (Popolizio, una spanna sopra tutti). 

A risentire dell’ambizioso impianto è principalmente l’ironia, infiacchita da gags non sufficientemente ponderate (non sempre, almeno); talvolta pare addirittura di trovarsi nei paraggi delle parodie alla Franco & Ciccio, per tacere della somiglianza abbastanza intenzionale – tuttavia simpatica – con Non ci resta che piangere (e di Troisi si cita anche la celebre Annunciazione televisiva); quanto all’omogeneità linguistica (niente ebraico, aramaico, latino, alla faccia di Gibson!), bisogna programmaticamente sorvolare, o meglio lasciar perdere. Il film del duo comico, peraltro avvezzo a includere spunti di riflessione, come d’abitudine vuole soltanto intrattenere con la misura e il garbo che lo contraddistinge. E il proposito di puntare leggermente più in alto non va certo scoraggiato.

Max Marmotta