Trama

A 17 anni dalla sconfitta a poker che lo ridusse sul lastrico, Franco Mattioli è uno dei più importanti esercenti cinematografici di Milano.

Dall’oncologo Delai, incontrato in casa di conoscenti e al corrente di quella nefasta partita, apprende che l’amico Lele Bagnoli, uno dei suoi avversari di allora, ha un male incurabile.

Sollecitato da tale triste notizia, Franco, che in breve va a letto con Elisa, giovane moglie del medico, raggiunge a Bologna il pover’uomo, un tempo critico e ridotto a fare l’archivista di cineteca; il suo meditato scopo è organizzare una nuova sfida a carte.

Così rintraccia pure il traditore della sua fiducia (in più occasioni) Ugo Cavara, ex-presentatore con precedenti penali che ora fa il cameriere, Stefano Bertoni, adesso antiquario (e gay), che si prodiga un’altra volta per trovare una villa in cui piazzare il tavolo verde, e soprattutto il temibile avvocato Antonio Santelia, professionista del mazzo residente in Calabria.

Persino lui, dopo un netto rifiuto, accetta di partecipare alla rivincita, che avverrà nuovamente la notte di Natale.

Recensione

Avati, dopo tre film indovinati, rilancia e rischia grosso: dà seguito ad una delle sue opere migliori e, paradossalmente (vista la conclusione), più compiute, quel Regalo di Natale (apparso prima del dicembre ’86, mentre stavolta l’uscita è di poco posteriore alla notte santa) che rappresentava a meraviglia il Leitmotiv del cineasta, il tradimento, e che fruttò a Delle Piane una Coppa Volpi, segnò la svolta drammatica di Abatantuono (tutt’oggi un po’ “marpione”), peraltro da anni in fase di stallo, fu il trampolino di lancio per caratteristi quali Cavina e Haber (soprattutto quest’ultimo) e cavò fuori per un istante Eastman (al secolo Luigi Montefiori, in seguito regista di DNA – Formula letale) dai meandri della serie B. La scommessa può dirsi vinta, nel senso che l’autore, approntando un valido script, nulla toglie al precedente e, diciamo così, resta “in pari”, il che è già un buon risultato.

Certo, una seconda parte, che pure chiudesse i conti, non era necessaria (hanno premuto molto gli attori perché venisse realizzata), e alcuni spunti del copione restano in superficie, così come non vengono chiariti i dubbi gettati sulla vecchia storia.

Ad esempio: i giocatori sono sempre stati dei bari o almeno all’epoca della prima partita prevalse un abile, per quanto disonesto, fattore psicologico? D’altronde, sono parecchie le scintille di riflessione, specie dal confronto impietoso con le immagini dell’originale: il cinismo (memorabile l’ingresso dell’avvocato Santelia), l’avidità (le poste sono ancora più da capogiro), l’approccio costante ma decadente con il cinema di Lele e Franco (vedi la divertente scena in cui costui telefona al suo direttore di sala) sono intenzionalmente adeguate alla contemporaneità.

E poi qui c’è un poker “preliminare”… .

Max Marmotta