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Trama

Desideroso di veder realizzata la sua trilogia su Moro, il regista Aurelio Grimaldi si affida al produttore Leonardo Giuliano, che però gli propone un accordo: il suo agognato progetto andrà in porto se prima dirigerà un film sulla falsariga de Le barzellette di Vanzina.

Interdetto ma rassegnato, il cineasta, che odia il genere, è affiancato dall’esperto Alvaro nella ricerca di storielle cosiddette divertenti, frequentando circoli e caserme dei carabinieri, organizzando una serie interminabile di provini.

Ma Aurelio, frattanto compromessosi pure finanziariamente, si accorge presto che Leonardo, che non fa altro che prendere tempo, lo sta bidonando… .

Recensione

Doveva chiamarsi –e meglio che non sia andata così– Le altre barzellette (vedi lo script e gli annunci dei provini, effettuati presso la multisala Pasquino, appartenente all’omonimo gruppo) tale sorta di parodia/panegirico sull’ambiente sottocinematografico italico di matrice più truffaldina; in ogni caso, non si tratta di un sequel.

Quel furfante, non sempre simpatico, di Colella (che davanti alla mdp assume l’identità del co-regista Giuliano, di provenienza televisiva) continua a proporre il bieco carattere dei suoi precedenti Amami e Voglio stare sotto al letto per spiegare come il prodotto commerciale (al contrario di quel che accadeva prima) si “pappi” il lavoro impegnato, coinvolgendo il pasoliniano e, nella sua aria sperduta, autoironico Grimaldi (presenti nel film le locandine di quasi tutte le sue fatiche, compreso l’invisibile Cecenia, e alcuni suoi attori, Paglia e Jelo), effettivamente alle prese con la trilogia su Moro: per argomenti, i due non si “incontrano” nemmeno nella realtà.

Girata in tempo record (nelle scene in esterni è possibile scorgere affissioni pubblicitarie di lungometraggi ancora in circolazione!), la pellicola, perciò arraffazzonata, analogamente alla formula adoperata ne Le barzellette ricicla gli interpreti nelle varie situazioni comiche, e in termini di satira non risparmia nessuno: da Berlusconi (i due affondi migliori sono per lui) a Urbani (una frecciata velenosa alla sua legge), dal “Grande Fratello” alla guerra in Iraq.

Ma l’opera è spesso inferiore a ciò che sfotte, e il peggio è che molte delle storielle mulinate a ripetizione non fanno ridere (e questo forse è intenzionale) o, peggio, si sanno già: insomma, non conta la sacrosanta scintilla irridente che muove l’insieme, bensì il mediocre risultato.

Fermo restando che fra il poco da salvare ci sono un Vitali (nel ruolo di se stesso) depresso e disoccupato e i “seri” manifesti approntati da Stefano Disegni.

Max Marmotta