
Le divorce
- James Ivory
- Jean-Marie Lhomme, Kate Hudson, Naomi Watts, Stockard Channing
- Commedia, Drammatico, Sentimentale
- Francia, Stati Uniti
- 8 August 2003
Trama
La californiana Isabel giunge a Parigi per trascorrere qualche giorno con la sorella poetessa Roxy, incinta di Charles-Henri.
Nello stesso momento quest’ultimo abbandona il tetto coniugale –ha un’amante russa, Magda– e trasforma quello che doveva essere un periodo piacevole in una disdicevole querelle con la famiglia del marito/cognato.
Così, mentre la neo-arrivata si distrae dando una mano alla scrittrice Olivia e flirtando con il tenebroso Yves e con lo zio del fedifrago, il maturo politico Edgar, la moglie tradita si trova a mercanteggiare con i de Persand (la suocera, soprattutto), in particolare per mantenere il possesso di un prezioso quadro della sua famiglia, raffigurante Sant’Orsola.
Nella sua “lotta borghese” è aiutata dal bell’avvocato Bertram e dall’esperto d’arte Piers (che succede ad un’altra conoscitrice, Julia).
Frattanto l’instabile Tellman, sposato con Magda, affila le armi e i genitori di Roxy e Isabel, insieme all’altro figlio, Roger, sono costretti dal precipitare degli eventi ad accorrere nella capitale francese.
Recensione
Belle attrici, non c’è che dire, in tutti i sensi, ma il glorioso James Ivory (Camera con vista e Quel che resta del giorno, tanto per citare due titoli), come aveva già dimostrato anni fa con Schiavi di New York, non si trova molto a suo agio con l’epoca contemporanea.
Nonostante l’ambientazione suggestiva (e la sfacciata comparizione di marche alla moda), il suo film puzza irrimediabilmente d’antiquariato e non ci si interessa mai davvero alle intricate eppur piatte vicende famigliari dei protagonisti, atte più che altro a contrapporre, il più ironicamente possibile, le insanabili divergenze culturali vigenti tra statunitensi e francesi.
E qui sta il guaio principale: sorvolando sullo sguardo di parte che tende principalmente a ridicolizzare gli europei, secondo la sceneggiatura atavicamente ancorati ai luoghi comuni, manca proprio un’impronta sufficientemente umoristica per accattivare la platea, già ben disposta dall’abbacinante cast.
Si tratta insomma di un impianto clamorosamente sprecato, che esibisce un’ulteriore aggravante: la noia.