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Recensione

Fino agli anni ’90 i registi in grado di spaziare abilmente fra i generi, oltre ai più consolidati Friedkin, Lumet, Avildsen, Donner, erano, per esempio, lo statunitense Hyams, l’australiano Donaldson, il canadese Spottiswoode, l’inglese Yates. Oggi una simile versatilità fra coloro che conoscono il mestiere (escludendo a priori nomi più altisonanti) ce l’ha James Mangold. Dall’indipendente Dolly’s Restaurant, suo esordio, ai film su Wolverine, passando per drammi, polizieschi, commedie romantiche (Kate & Leopold), thriller (Identità), action movies (Innocenti bugie), il nostro non si è mai reso però realmente riconoscibile presso il grande pubblico. L’occasione gliela fornisce questo biopic sportivo (che rimanda indirettamente alle passioni automobilistiche di Paul Newman e Steve McQueen, che sarebbero stati gli attori ideali per il soggetto in questione), ricostruzione della prima gara in cui la “rozza” Ford (rappresentata dall’arrogante e sostanzialmente estraneo all’ambiente Henry II, che nella prova di Tracy Letts sfoggia la prosopopea dei vecchi produttori cinematografici) diede del filo da torcere all’altera Ferrari (con Enzo incarnato dall’inflessibile Remo Girone), creando in pochi mesi il potente modello GT40; esito e continuazione restano noti agli appassionati, ma non sono inimmaginabili per i comuni mortali. 

I fautori di tale exploit, avvenuto – ci suggerisce il didascalico titolo italiano – nel 1966, furono due piloti frustrati (uno per motivi di salute, uno per mancanza di opportunità), Carroll Shelby (qui un risoluto Matt Damon), reinventatosi designer, e lo scontroso Ken Miles (un Christian Bale magro e nervoso come in The Fighter), valente meccanico con prole (la moglie Mollie è l’irlandese Caitriona Balfe, vista in Money Monster – L’altra faccia del denaro, mentre il figlio Peter ha il volto dell’ascendente Noah Jupe di Suburbicon, Wonder e A Quiet Place) nonché affidabile collaudatore. Dalla loro non sempre rosea collaborazione – e con l’appoggio prezioso del manager recentemente scomparso Lee Iacocca (Jon Bernthal) – sortì un’auto prestigiosa e competitiva, da affidare – in barba alle lamentele del dirigente Leo Beebe (Josh Lucas) – a mani esperte. 

Il corposo lavoro di Mangold, vivacizzato da professionali riprese e da un po’ di humour (zuffe e trucchetti sul circuito), lascia soddisfatti, aggirando in pista il rischio dell’americanata (anche perché i vertici della scuderia a stelle e strisce non ne escono proprio bene). Peccato solo per l’affaticato escamotage dell’adattamento italiano, che fa passare gli interpreti simultanei per dei consiglieri tonti.

Max Marmotta