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Trama

Christoffer ha un avviato ristorante a Stoccolma ed è felicemente sposato con l’attrice teatrale Maria.

Un giorno viene raggiunto dalla notizia, imprevedibile, del suicidio del padre Henrik. Ritornato in fretta a Copenhagen, l’uomo subisce le insistenze dell’autoritaria madre Annelise, che lo vuole a capo dell’acciaieria di famiglia (da generazioni), attualmente sommersa dai debiti (sono previsti tagli al personale, composto da 900 operai).

Ad un netto rifiuto di Christoffer, da sempre distante dal mondo dell’industria, subentra un’improvvisa accettazione della nuova responsabilità, con sorpresa della sorella Benedikte e rancore da parte del cognato Ulrik, braccio destro del defunto.

Pure le reazioni di Maria non si fanno attendere, anche perché il rapporto di coppia si va incrinando, e a poco serve la nascita di Aksel.

Il neo-potente, ascoltando i consigli del cinico consigliere Niels, allontana Ulrik e cerca di realizzare un’importante fusione con i francesi.

Recensione

Secondo capitolo di una trilogia che il regista dedica alle divisioni sociali nella sua nazione (il primo, sul proletariato, era Bænken, cioè “la panchina”, il prossimo, sul ceto medio, s’intitolerà The Killing), questo austero ed intenso film sull’alta borghesia è accostabile per contenuti (non per stile, il famoso Dogma non c’entra nulla) a Festen: stessa sfiducia nell’istituzione familiare (qui si punta maggiormente all’aridità, non ai traumi), stesso protagonista (il convincente Thomsen) più un altro paio di volti, ancora Rukov fra gli sceneggiatori.

Fly concentra attenzione e ricerche sugli errori connessi non tanto alla sete di potere (rappresentata dalla madre, la brava Ghita Nørby), quanto all’impoverimento dello spirito a favore del lavoro e a scapito dell’amore (di struggente semplicità l’allontanamento tra Christoffer e Maria).

C’è un occhio particolare alla tragedia shakespeariana: osserviamo la follia progressiva di un principe ereditario (in terra di Danimarca) dagli amletici dubbi, consigliato dallo Iago di turno che prospetta tutt’intorno complotti (veri o presunti, giustamente, non è dato saperlo); e non è accidentale il manifesto di Romeo e Giulietta di Zeffirelli che campeggia in casa dei coniugi.

Sopra ogni cosa, dopo la “pericolosa” scena della caccia subentra un ammirevole ed equilibrato realismo, nel quale il peggio non accade per un soffio ma la sofferenza interiore cresce.

Preziose la fotografia di Harald Gunnar Paalgard e la scenografia di Søren Gam.

Max Marmotta