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Recensione

Cinque anni fa la visione arditamente “artistica” di Ang Lee non aveva riscosso troppi consensi, né al botteghino né sui giornali.

Probabilmente è questo il motivo che ha spinto la Marvel a mettere in cantiere una nuova versione, più fedele ai dettami del fumetto da cui proviene, delle avventure di Hulk, il gigante verde in cui si trasforma il dr. Bruce Banner in seguito a un esperimento: raggi gamma testati, con eccessiva fiducia, sulla propria persona, ignorando la predisposizione (dovuta a trattamenti segreti, voluti dal padre nel primo film e dal cinico generale Ross in questo) a diventare un mostro rabbioso.

Così, quando perde il controllo e le pulsazioni aumentano, Bruce, fuggito in Brasile e braccato dall’esercito, “esplode” acquisendo una forza sovrumana.

La vicenda prende le mosse dopo un eloquente prologo che non rinnega gli eventi descritti nella pellicola del 2003, ma le differenze sostanziali ci fanno capire che l’angolo di osservazione è mutato; come se si trattasse di un albo che racconta una storia simile, ma con le chine di un altro disegnatore.

Nella fattispecie Louis Leterrier (Danny the Dog), che rinuncia a ogni velleità d’autore per concentrarsi su un’azione efficace e condita di strizzate d’occhio (dalle inevitabili partecipazioni speciali di Stan Lee e Lou Ferrigno a quella a sorpresa di Robert Downey jr., dal rifugio in un allegorico ristorante all’acquisto di un paio di pantaloni viola elasticizzati).

Per l’occasione, era praticamente necessario cambiare l’intero cast: il solido Edward Norton in luogo dello spilungone Eric Bana per il protagonista, il professionale William Hurt al posto del perfetto Sam Elliott per la parte di Ross e un’energica Liv Tyler a rimpiazzare la dolce Jennifer Connelly per impersonare Beth, figlia del militare in caccia e fidanzata di Banner.

Hulk no, resta digitale.

Max Marmotta