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Recensione

Dopo l’inedito in Italia Les deux amis, il figlio (di Philippe) e nipote (di Maurice) d’arte Louis Garrel inanella il secondo lungometraggio dietro (e davanti) la macchina da presa, incarnando il medesimo ruolo, Abel, qui mollato (senza che batta ciglio) fin dall’incipit dalla compagna Marianne (Casta, maturata in campo recitativo ed effettiva partner attuale dell’autore, che ha scritto anche la sceneggiatura insieme al blasonatissimo Jean-Claude Carrière) in favore dell’amico Paul, entità che nel corpo (del film) rimane opportunamente invisibile, fungendo da hitchcockiano “MacGuffin”.

Nove anni dopo al funerale di quest’ultimo i due si ritrovano; lei tiene per mano il piccolo Joseph (Engel), paternità teoricamente incerta e spiccata tendenza al complottismo (crede che la madre sia un’avvelenatrice), lui colma il vuoto familiare, come se il tempo non fosse trascorso.

E (ri)entra in gioco con smisurata ambizione e una bella dose di faccia tosta pure Ève (Depp, a sua volta di stirpe celebre), cresciuta sorella del defunto da sempre innamorata di Abel.

Difficile aggirare i parallelismi, ascrivibili a stile e (incostante) capacità di sintesi, con il cinema del più noto – da regista – genitore, ma il (non più così) giovane Louis guadagna punti in quota ironia, tratteggiando un protagonista inerte e progressivamente “oggettificato”.

Magari ci sono squilibri, però l’iter e soprattutto il  modo in cui è tracciato conquistano.

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Max Marmotta