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Trama

In un’immensa città del futuro, Metropolis, il contrasto tra robot e operai, defraudati del lavoro, rischia di sfociare in rivolta.

È un clima di cui approfitta il potente e perfido duca Red, principale fautore della Ziggurat, enorme torre in cui albergano gli agiati e di cui si sta celebrando l’anniversario, e fondatore della Marduk, polizia segreta, nella quale milita l’incontrollabile Rock, convinto di essere suo figlio, il cui scopo è contrastare con la violenza il dilagare degli “uomini di latta”.

In realtà, le mire tiranniche del duca consistono nel mettere a sedere su uno speciale trono Tima, creatura androide che governerebbe la megalopoli sotto il suo controllo, progettata dal malvagio dottor Laughton.

Appunto sulle tracce di tale scienziato arriva il detective giapponese Shunsaku Ban, affiancato dal giovane nipote Kenichi (destinato a innamorarsi di Tima).

Ai due viene affiancato l’agente meccanico Pero.

Recensione

Meriterebbe un Oscar solo per le incredibili scenografie di Shuichi Irata questo grandioso affresco futuribile di Tarô Rin, famoso regista di anime (leggi cartoni animati giapponesi) che ha potuto avvalersi della collaborazione in sede di sceneggiatura –tratta dal fumetto di Tezuka– di Katsuhiro Ôtomo (rielaborata per il pubblico anglofono da Mark Handler), già autore del complesso Akira, e delle ottime musiche originali (ma anche la selezione di brani fa un certo effetto) di Toshiyuki Honda.

Dell’omonimo kolossal di Fritz Lang (1927) è rimasta l’ossatura: si respira di più l’aria pre-apocalittica (sebbene sostanzialmente meno pessimista) di Blade Runner, anche se in questo caso i colori sono ben più accesi.

Torbidi giochi e doppi giochi politici non conducono necessariamente ad una cieca rappresentazione della violenza; si preferisce piuttosto indugiare in grate citazioni (Wenders, Ejzenštejn) e puntare alla tetra simbologia della Ziggurat (così venivano chiamate anticamente le torri in stile Babele).

Peccato soltanto che alcuni particolari, riguardanti la vera natura di Rock o le fattezze della bella Tima, siano poco chiari.

Max Marmotta