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Trama

Contabile in una grande azienda romana, Anna, madre separata della piccola Morgana e figlia di un anziano ammutolito, vive in prima persona l’assorbimento della sua società da parte di una multinazionale.

La donna si accorge che la stanno isolando: scampata ad un trasferimento a Mondovì, dove è finita gran parte dei suoi colleghi non tutelati, l’impiegata è ignorata da (quasi tutti) i compagni di stanza, riceve nuove mansioni, sempre più degradanti e improprie, e viene sottilmente maltrattata dal capo del personale, che la fa sentire in colpa.

Progressivamente più stanca e distratta nei confronti della figlia, Anna è colpita da stress. Quando stanno per darle il benservito, si ricorda dell’intervento sul mobbing di una sindacalista… .

Recensione

Ovosodo ci fece nascere il sospetto che la Braschi sapesse in realtà recitare. Sospetto legittimo: qui, con la sua umiltà, la minuta attrice è proprio brava. Dopo l’intenso Le parole di mio padre e il genuino documentario Carlo Giuliani, ragazzo, la Comencini realizza un’opera che, incrociando i due precedenti, ha il sapore, e in qualche passaggio lo stile, della docu-fiction, incentrata su un problema antico eppure contemporaneo.

Lo chiamano “mobbing” (sottotitolo, necessario a captare l’attenzione dei disinformati, che potrebbe tradursi con “aggressione”) e riguarda la mobilità sul lavoro, sovente finalizzata a sminuire l’impiegato e a convincerlo, indirettamente, ad andarsene.

In effetti, la proposta che l’avvilita Anna riceve, con una cortesia (ipocrita) mista alla minaccia (ulteriori sabotaggi contro un anno di indennità), suona addirittura allettante al partecipe spettatore, ma l’umana reazione della protagonista e il finale solo relativamente ottimistico (le ferite non si dimenticano) contribuiscono a sensibilizzare e ad informare sulle vie da battere in casi simili (ognuno certo si identificherà in qualche situazione).

Un viaggio attraverso l’annunciato e inesorabile sprofondamento della dignità (vibranti le scene in magazzino), con ripercussioni ad onda lunga dettate dall’arroganza di chi, ignorando volontariamente capacità e incarichi precedenti del personale, vuol fare sentire a tutti il cambiamento (cosa produca l’azienda è irrilevante).

Importante il sottotesto sull’apertura allo straniero come possibile via di fuga. La soggettista Assunta Cestaro è una vera sindacalista (ruolo che riveste anche nel film), mentre i non professionisti interpretano praticamente se stessi.

Camille Dugay Comencini è figlia della regista.

Max Marmotta