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Recensione

Passano anni tra un lavoro e l’altro di Moretti, però quando il cineasta si decide a proporre un nuovo soggetto, sebbene torni su temi e stili riconoscibili, non sbaglia.

Aveva già esplorato l’elaborazione del lutto nel 2001 con il toccante La stanza del figlio. Ora se ne occupa da un’angolazione differente (senza rinunciare a elementi autobiografici, dalla scomparsa della genitrice all’esperienza di set), illustrando gli umori rarefatti e sospesi di una nervosa regista (inappuntabile Buy, alter ego femminile dell’autore), lacerata dal ricovero della madre (Lazzarini, attrice di vaglia dedicatasi di rado alla pellicola) e dalla realizzazione di un film sui tumulti operai odierni, teoricamente nobilitato ma perlopiù affaticato dalla presenza di uno scarsamente professionale interprete americano (bravissimo Turturro, contrappunto non solo comico) chiamato a ricoprire il ruolo dell’insensibile neo-proprietario di una fabbrica in svendita.

Nanni riserva per sé la pars costruens del fratello della protagonista, prodigo di saggi consigli e secche osservazioni nell’altalena tra realtà, ricordo e sogno (vedi la sottile scena della lunga coda davanti alla sala) che caratterizza la narrazione.

Un’opera di preziosa (e oggi invidiabile) compiutezza e dalle numerose suggestioni, non sintetizzabili in poche righe, costituente una summa artistica, uno sguardo profondo e addolorato sull’attualità, una lezione di equilibrio, una riflessione sulla persistente funzione del cinema, una dignitosa ricerca del senso della vita.

Lascerà il segno.

Max Marmotta