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Trama

Florida, fine degli anni ’80. Dopo un’infanzia e un’adolescenza segnate da violenza e soprusi, la prostituta di autostrada Aileen Wuornos, che ha come unico amico il vagabondo Thomas, si innamora della giovane Selby Wall, omosessuale emarginata dalla propria famiglia.

Fugge con lei e continua a battere per mantenerla, sognando un salto di qualità nella vita di entrambe.

Vittima di un cliente pericoloso, Aileen commette il suo primo omicidio, entrando in una spirale da cui non riuscirà più a tirarsi fuori.

Infatti continua ad adescare uomini allo scopo di ucciderli, per poi derubarli. La scia di sangue che la donna lascia dietro di sé la costringe a spostarsi di continuo e a struggersi per le proteste e i capricci dell’apparentemente ignara Selby.

Recensione

Aileen Wuornos, giustiziata nell’ottobre 2002 dopo dodici anni trascorsi nel braccio della morte, si è meritata la poco invidiabile nomea di prima donna serial killer negli Stati Uniti.

Il film dell’esordiente (nel lungometraggio) Jenkins ha il pregio di non imporre giudizi sulla sua figura disperata, senza provare neppure a trovare una giustificazione, raccontandoci, piuttosto, in un centellinato crescendo, le ombre del suo passato, i torti subiti, l’assunto tristemente infallibile della violenza che genera violenza (e tragica illusione di un’esistenza migliore).

Una biografia metropolitana crudele e cadente, incorniciata da scarni paesaggi illuminati quanto basta, dove il “mostro” del titolo non si rivela tanto la protagonista (incarnata da una Theron, anche produttrice, seriamente da Oscar, ingrassata per il ruolo e comunque aiutata non poco dal pesante make-up che la rende assolutamente irriconoscibile), peraltro non gay ma bisognosa di una persona d’amare, quanto la sua sottilmente perfida compagna Selby (vero nome Tyria Moore), subdola istigatrice dei delitti pronta al tradimento per riconquistare comodità e rispettabilità (e la Ricci rende assai bene il personaggio).

D’altro canto, la Wuornos inizia ad uccidere per legittima difesa, diventando un’assassina arrabbiata con il genere maschile (due omicidi sono inscenati in maniera veramente angosciante) più per inconscia paura (per vigliaccheria?) che per il gusto di farlo, il che la differenzia dai tanti psicolabili, reali o inventati, che vanno per la maggiore sugli schermi americani.

Un film di levigata durezza girato con professionalità, che però, malgrado le molte doti, rimane spesso in bilico tra l’originalità e l’abuso di riconoscibili prototipi drammatici, paradossalmente “finti”.

Max Marmotta