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Trama

New England, 1973. Joe Nast si è trasferito in un piccolo centro, a casa dei mancati suoceri, Ben e Jojo Floss. La loro fidanzata e figlia Diana è rimasta uccisa in una sparatoria, e i tre stanno inconsapevolmente provando a costituire un nuovo nucleo familiare.

Ben, in procinto di allargare la sua agenzia immobiliare, va oltre: propone a Joe di diventare suo socio.

Il ragazzo, ancora piuttosto indeciso sulla direzione da prendere nella vita, sta al gioco, anche perché si tratterrà nella cittadina, opportunamente preparato dalla professionale avvocatessa Camp, per testimoniare al processo per l’omicidio di Diana.

Tutto si complica quando conosce la simpatica impiegata postale Bertie.

Recensione

Non è un bel film, essenzialmente per tre motivi. Le battute che si scambiano i personaggi sono troppo “preparate” e di conseguenza poco realistiche in un contesto che si vuole drammatico; pur non rinunciando all’ironia, fondamentale nella vita, i tre protagonisti soffrono poco, considerando anche come è avvenuta la perdita, per cui non è difficile immaginare che crolleranno, ognuno a modo suo, nella seconda parte; non sappiamo nulla delle origini e della provenienza di Joe, il che dà, più che un alone di mistero, un senso di incompletezza.

Se a ciò si aggiunge che Hoffman e Sarandon ripropongono caratteri già collaudati (il bonario un po’ illuso e la simpatica rompiscatole senza peli sulla lingua) e che ogni cosa s’aggiusta dall’oggi al domani, si ottiene che Brad Silberling ha saturato i difetti già in nuce nel deprecato (dalla critica) ma in fondo mirato City of Angels: tanti cliché in fila per commuovere a tutti i costi.

Detto questo, la condanna non è affatto perentoria. Le recitazioni, compresa quella del giovane Gyllenhaal (lanciato dall’ancora inedito Donnie Darko), sono superlative, ed è già condizione sufficiente a far scorrere piacevolmente le quasi due ore di proiezione.

Comunque, la sequenza del processo rimane la più riuscita della pellicola, prodotta fra gli altri dalla Sarandon e dal regista e il cui titolo si ispira a una canzone di Van Morrison.

Il fotografo è Ed Lachman, autore delle luci di Lontano dal paradiso.

Max Marmotta