Video & Photo

1 videos

Recensione

Salutato come il nuovo Blade Runner per via di tematiche, ambientazioni e futuribili scenografie (a cura di Cho Hwa-sung, aiutato quanto basta dalla grafica computerizzata), l’ambizioso progetto del regista coreano Min Byung-cheon (disparate le trascrizioni del suo nome nel nostro alfabeto), all’attivo un solo lungometraggio da noi inedito, ha visto la luce dopo ben quattro anni di gestazione.

Un vero e proprio kolossal, forse il più costoso mai realizzato nella sua nazione, caratterizzato dal fascino dogmatico tipico delle sceneggiature scritte da quelle parti (come dire: non tutto è chiaro al primo colpo).

Collocata nel 2080, la trama vede l’inarrestabile poliziotto R, avvezzo ai traffici di microchip, in lotta contro il tempo per salvare Ria, cyborg in scadenza di cui è perdutamente innamorato.

Il dottor Giro lo ha convinto che l’indovina umana Cyon è adatta a ospitare l’intelligenza artificiale della moritura (pratica ancora illegale), e l’agente non si ferma neanche davanti ai moniti del comprensivo superiore Noma o ai sanguinosi scontri con le micidiali macchine ribelli guidate dal pericoloso Cyper.

C’è un pure un po’ di Terminator, come si può capire; ma per una volta le eccessive somiglianze non sciupano, bensì aggiungono interesse.

Max Marmotta