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Recensione

È vano fare paragoni con il cinema di Fellini (del quale ricorrono in questi giorni i 90 anni dalla nascita).

Il regista-coreografo Rob Marshall, senz’altro memore del suo Chicago più di ogni altro film, ha dichiaratamente voluto omaggiare l’opera del maestro riminese, ma i punti di contatto, i riferimenti, le riproduzioni sono – di proposito – troppo labili per poter parlare di fallito rifacimento di 8 ½ (e di qualche altro titolo): basterebbe soltanto il fatto che si tratta di un musical, genere peraltro ingiustificatamente inviso a una buona fetta di pubblico, nonostante qui gareggino in bravura ben sette amatissimi premi Oscar, tutte signore (con menzione speciale per Cotillard, Hudson e Dench) con l’aggiunta dello “sperduto” Day-Lewis (nel ruolo del cineasta Guido, in destabilizzante crisi di ispirazione, ossessionato dalle figure femminili della sua vita che, eccezionalmente, lo disorientano anziché guidarlo a occhi chiusi).

Piuttosto, l’intenzione sembrerebbe quella di incuriosire coloro che non conoscono (non abbastanza, almeno, e in particolare negli USA) la poesia e la fantasia dell’autore nostrano e portarli ad accostarvisi con rinnovato interesse.

Stabilito questo, l’assunto che i contenuti e le visioni delle pellicole del celebre Federico siano tutt’altra “musica” non è in discussione.

Bisogna lasciarsi trascinare, cullare (come accade al protagonista, interpretato in versione fanciullesca dal palermitano Giuseppe Spitaleri) dal gentile, accogliente, a volte minaccioso turbinio muliebre, fonte di qualsiasi nascita artistica, non (più) disposto a essere ripagato solo con l’egoismo maschile.

È soprattutto il finale, da interpretare come un nuovo e maturo punto di partenza che non rinuncia tuttavia alla parte pura e virtuosa dell’infantilismo, a investire maggiormente di senso il semplicissimo soggetto.

Max Marmotta