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Trama

In seguito ad un incidente in motorino (aveva il casco slacciato), Angela, 15 anni, è ricoverata d’urgenza nell’ospedale in cui opera il padre, il neurochirurgo Timoteo.

Di lei si occupa il capace collega Alfredo. A dare la notizia all’ignaro genitore è la rianimatrice Ada. Mentre prova a rintracciare la moglie giornalista Elsa, via per lavoro, Timoteo ripercorre mentalmente una storia sepolta nel passato, il rapporto adulterino con la diseredata Italia, di origini albanesi e poco attraente, conosciuta un afoso giorno d’estate durante la ricerca di un telefono per un guasto all’auto.

Dopo un brutale avvio, la loro relazione proseguì tra tenerezze e disfacimenti. Il dottore, dividendosi tra un ricevimento, un convegno (spesso con il compare Manlio) e un incontro clandestino, sembrava deciso a troncare quando Elsa avviò finalmente una gravidanza.

Proprio nel periodo in cui la stessa Italia si scoprì incinta.

Recensione

Se non fosse stato alla sua seconda prova dietro la macchina da presa –dopo il simpatico ma trascurabile Libero Burro– Sergio Castellitto probabilmente non sarebbe riuscito a ricavare dal best seller, vincitore del premio Strega, di sua moglie Margaret Mazzantini (d’obbligo la sua apparizione, peraltro sfocata, nella scena finale) un film talmente serio, rigoroso, passionale, carnale, attento a restituire vividamente le asprezze della pagina scritta (vedi, su tutti, il momento dello stupro), “tradita” dove serve (qualche taglio nell’ultima parte, piccole aggiunte).

Ovviamente, ha giocato un ruolo non secondario veder nascere a casa propria questo romanzo, già avvantaggiato da un taglio sufficientemente cinematografico, imparando a conoscerne le varie sfumature.

Infatti, il regista, che sa dirigere in primis se stesso, ammette la valenza simbolica, che ha tentato di restituire senza intaccare un certo realismo, di molti elementi del suo lungometraggio; per l’appunto, il borghese Timoteo, segnato da un’infanzia insicura (da bambino lo impersona il figlio di Castellitto), sente un’inconscia ed irresistibile attrazione verso la miseria di Italia (una formidabile Penélope Cruz, involgarita dal pesante make-up), percepisce quella dimensione di degrado, pregna di umanità, più adatta a lui e al suo cuore, e vi cerca protezione, cadendo in contraddizione e facendo(si) del male.

Da elogiare pure la dedizione di Claudia Gerini (Elsa), alle prese con un personaggio più difficile del solito.

“Gli amori” di Toto Cutugno è la canzone-tormentone che aiuta a collocare cronologicamente l’azione (comunque, anche il testo è pertinente ai fatti), mentre “Un senso” è appositamente composta e interpretata da Vasco Rossi per la pellicola.

Max Marmotta